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Laboratorio di scritture e altre discipline

  • Immagine del redattoreRedazione

Visione: è questa parola, in bilico tra arte pittorica e fughe temporali, tra stampe giapponesi e sconforti apocalittici, che meglio permette di descrivere la produzione in versi di John Gould Fletcher (Arkansas Usa 1886 - 1950). Una produzione che è imponente, irruente, quasi inarrestabile, simile, per quantità e per impeto, alle abnormi prose (liriche, notturne, esistenziali) di un altro americano, Thomas Wolfe. Come Wolfe, Fletcher non è esente da toni magniloquenti ed enfatici, anche nei suoi libri più maturi; ma quando, come nei testi di The Tree of Life, passione e analisi sanno equilibrarsi, ecco che l’immagine diventa, appunto, visione, e il simbolo si fa esistenza. Le sue prime raccolte poetiche, come The Book of Nature, Visions of the Evening, Fire and Wine o Dominant City, sono pubblicate tutte nello stesso anno, il 1913, ma non hanno grande successo, né di pubblico né di critica: debitori della produzione tardo ottocentesca europea, in particolare francese, vi affiorano qua e là alcuni tentativi di utilizzare il verso libero, ma rime e strutture metriche tradizionali sono rispettate piuttosto fedelmente.

Il salto di qualità si ha, poco dopo, con il volume Irradiations. Sand and Spray (1915), nel quale, affrancato quasi completamente dalle strutture tradizionali, inizia a privilegiare il verso libero. Il contatto con la scuola imagista, in particolare con Amy Lowell, lo spingono a tentare composizioni ampie, polifoniche, come quelle Sinfonie che comporranno la parte principale del libro successivo, Goblins and Pagodas (1916). La natura e la città vengono entrambe esplorate, ora in piccoli ritratti, ora in ampi affreschi, creando una mappa del Nuovo Mondo che trova la sua realizzazione più compiuta in quel vero e proprio atlante americano che è Breakers and Granite (1921), dove, tra cicli in versi dedicati a diversi luoghi americani, troviamo anche prose liriche di ampio respiro.

Fletcher stesso ha curato un’antologia dei propri testi, che gli varrà il premio Pulitzer. Si è scelto di presentare qui una selezione di poesie per offrire al pubblico italiano (di questo autore non sono al momento disponibili traduzioni nel nostro paese) il lato oscuro, appassionato e doloroso di un poeta che ha tentato, con le sue visioni, di slanciarsi a cantare un continente intero, ma che non ha mai smesso di fare i conti con i piccoli e insistenti fantasmi della propria casa.

Stefano Serri


da IRRADIAZIONI



XXI



Not noisily, but solemnly and pale,

In a meditative ecstasy you entered life:

As performing some strange rite, to which you alone held the clue.

Child, life did not give rude strength to you;

From the beginning, you would seem to have thrown away,

As something cold and cumbersome, that armor men use against death,

You would perhaps look on him face to face, and so learn the secret

Whether that face wears oftenest a smile or no?

Strange, old, and silent being, there is something

Infinitely vast in your intense tininess:

I think you could point out, with a smile, some curious star

Far off in the heavens, which no man has seen before.



XXI



Senza rumore, ma pallido e solenne,

In un’estasi pensosa sei entrato nella vita:

Quasi compiendo un rito strano, di cui solo tu hai la chiave.

Bambino, la vita non ti ha dato tanta forza;

All’inizio, sembri da buttare,

Cosa fredda e ingombrante, armatura contro la morte,

Forse l’hai guardata in faccia, e così ora sai

Se quella faccia ha spesso un sorriso oppure no?

Strana, antica e muta creatura, c’è qualcosa

D’infinitamente vasto nella tua intensa piccolezza:

Credo potresti indicare, con un sorriso, lontano nei cieli,

Qualche stella rara che nessuno ha ancora visto.


*


da I FANTASMI DI UNA VECCHIA CASA



PROLOGUE



The house that I write of, faces the north:

No sun ever seeks

Its six white columns,

The nine great windows of its face.


It fronts foursquare the winds.


Under the penthouse of the veranda roof,

The upper northern rooms

Gloom outwards mournfully.


Staring Ionic capitals

Peer in them:

Owl-like faces.


On winter nights

The wind, sidling round the corner,

Shoots upwards

With laughter.


The windows rattle as if someone were in them wishing to get out

And ride upon the wind.


Doors lead to nowhere:

Squirrels burrow between the walls.

Closets in every room hang open,

Windows are stared into by uncivil ancient trees.


In the middle of the upper hallway

There is a great circular hole

Going up to the attic.

A wooden lid covers it.


All over the house there is a sense of futility;

Of minutes dragging slowly

And repeating

Some worn-out story of broken effort and desire.


*


PROLOGO



La casa di cui scrivo è rivolta a nord:

Il sole non visita mai

Le sue sei colonne bianche,

Le nove vetrate della sua facciata.


Fronteggia i venti decisa.


Sotto il tetto spiovente della veranda,

Le stanze in alto a nord

Si spengono tristi all’esterno.


Vivaci capitelli ionici

Scrutano dentro:

Volti di civette.


Nelle notti d’inverno

Il vento sfiora l’angolo

E sfreccia di sopra

Con una risata.


La finestra sbatte come se da dentro si volesse uscire

E cavalcare il vento.


Le porte non conducono da nessuna parte:

Scoiattoli fanno la tana tra le pareti.

Armadi ancora aperti in ogni stanza,

Sbirciano dai vetri vecchi alberi insolenti.


In mezzo al corridoio superiore

C’è un grande buco circolare

Che dà sulla soffitta.

Lo chiude un coperchio di legno.


Per tutta la casa, un senso di vanità;

Di minuti che scorrono lenti

E che vanno ripetendo

Consumate storie di sforzi e sogni infranti.


*


INDIAN SKULL



Someone dug this up and brought it

To our house.

In the dark upper hall, I see it dimly,

Looking at me through the glass.


Where dancers have danced, and weary people

Have crept to their bedrooms in the morning,

Where sick people have tossed all night,

Where children have been born,

Where feet have gone up and down,

Where anger has blazed forth, and strange looks have passed,

It has rested, watching meanwhile

The opening and shutting of doors,

The coming and going of people,

The carrying out of coffins.


Earth still clings to its eye-sockets,

It will wait, till its vengeance is accomplished.



TESCHIO INDIANO



Qualcuno lo disseppellì e lo portò

In casa nostra.

Nel buio corridoio di sopra, lo vedo a stento,

Mi sta guardando attraverso il vetro.


Dove danzatori hanno danzato, e gente strana

Ha strisciato all’alba fino al letto,

Dove gente malata ha tossito tutta notte,

Dove bambini sono nati,

Dove piedi sono passati su e giù,

Dove rabbia si è accesa, e strani sguardi sono corsi,

È rimasto, guardando nel frattempo

L’aprirsi e chiudersi delle porte,

L’andare e venire della gente,

Le bare portate fuori.


Le orbite ancora sporche di terra,

Attenderà, finché non si compia la sua vendetta.

*


da STAMPE GIAPPONESI



A WOMAN IN WINTER COSTUME



She is like the great rains

That fall over the earth in winter-time.


Wave on wave her heavy robes collapse

In green torrents

Lashed with slaty foam.


Downward the sun strikes amid them

And enkindles a lone flower;

A violet iris standing yet in seething pools of grey.



UNA DONNA IN ABITO INVERNALE



Lei come le grandi piogge

Che cadono a terra d’inverno.


Onda su onda la spessa veste collassa

In verdi torrenti

Sferzata da schiuma grigia.


Il sole tramonta, si spegne là in mezzo

E infiamma un fiore sperduto;

Un iris viola che resiste nelle pozze digrigio.

*


THE CLOUDS



Although there was no sound in all the house,

I could not forbear listening for the cry of those long white rippling waves

Dragging up their strength to break on the sullen beach of the sky.



LE NUVOLE



Anche se non c’era suono in tutta la casa,

Non ho potuto non ascoltare l’urlo di quelle lunghe onde bianche arricciate

Trascinarsi esauste fino a spaccarsi sulla cupa spiaggia del cielo.


*


A POET’S DECLARATION OF RIGHT



We have each a right to four lives. No one has the right to more or less than that.

The first life we have a right to is the life of work. Thankless grinding – that is what it comes to. It is cramming an engine each day with its fuel, so that it may go on grinding out something that is convertible into more fuel for its strength.

The second life we have a right to is the life of thought. How many steps in advance, and hurried retreats to the rear, must we have before we can attain to this life! How few really care to attain to it at all! For thought brings not peace, but a sword.

Our third right is the life of feeling and experience. Are we afraid of this life? Then let us turn from the arms that cradled us and the breasts we sucked, for without feeling and experience, life is a void of living death.

Our fourth right is the life of creation. Out of all these other lives it springs, and it is greater than them all, for it looks beyond them.

We have each the right to these four lives. These are our rights and we must fight for them, for none are easy to attain. Yet no one has any right to more or less than these.

Only when we have attained them all can we become complete men and women. And when we have attained them for all men and women we shall be neither socialists nor supermen, but human beings, knowing and understanding humanity.



UNA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DEL POETA



Ognuno di noi ha diritto a quattro vite. Nessuno ha diritto a più o meno di questo.

La prima vita a cui abbiamo diritto è la vita del lavoro. Ingrato compito - ed è così che deve essere. È riempire ogni giorno la macchina con il carburante, cosicché possa continuare a macinare qualcosa che è convertibile in altro carburante per i propri sforzi.

La seconda vita a cui abbiamo diritto è la vita dei pensieri. Quanti passi avanti, e precipitose ritirate, dobbiamo fare prima di poter raggiungere questa vita! Quanto sono pochi quelli che cercano di ottenerla pienamente! Perché i pensieri non portano pace, ma una spada.

Il nostro terzo diritto è la vita delle emozioni e dell’esperienza. Abbiamo paura di questa vita? Rivolgiamoci alle braccia che ci hanno cullato e al seno che abbiamo succhiato, perché senza emozioni e esperienza, la vita è un buco di morte vivente.

Il nostro quarto diritto è la vita della creazione. Da tutte le altre vite sorge, ed è più grande di tutte loro messe insieme, perché vede oltre.

Abbiamo tutti diritto a queste quattro vite. Sono nostri diritti e dobbiamo combattere per loro, perché nessuna è facile da ottenere. Tuttavia, nessuno ha diritto a meno o più di questo.

Soltanto quando le abbiamo ottenute tutte possiamo diventare uomini e donne completi. Quando le avremo ottenute per tutti gli uomini e le donne non saremo né socialisti né superuomini, ma esseri umani, che conoscono e comprendono l’umanità.

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