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Laboratorio di scritture e altre discipline



Il balcone della signora Ada si trovava al secondo piano di un edificio costruito negli anni Venti del Novecento. Era un palazzo a pianta trapezoidale, il cui lato più corto, orientato a Sud, affacciava sulla piazza dove, due giorni alla settimana, si teneva il mercato. Il balcone era posizionato vicino all’angolo e il suo lato a sud guardava anch’esso verso la piazza, mentre il lato più lungo dava sulla via in cui era presente anche il portone d’ingresso principale dell’edificio. Sul lato corto del balcone era installato un vaso ampio e profondo, nel quale la signora Ada aveva interrato a suo tempo una pianta di rose che, grazie all’esposizione favorevole e alle cure prestategli assiduamente, era in breve cresciuta rigogliosamente e la sua fioritura regalava un’esplosione di boccioli di rosa che ben presto si allargavano in grandi fiori profumati e di un giallo intenso.

Perché la signora Ada avesse scelto proprio quel colore per le sue rose è presto detto: lei era morbosamente gelosa e il giallo, si sa, è il colore della gelosia. Intorno a questa pianta, così visibile grazie alla sua posizione in affaccio su una piazza centrale del rione, era cresciuta anche una piccola leggenda locale, secondo la quale le mirabili fioriture coincidevano con le esplosive crisi di gelosia della proprietaria, salvo poi addivenire a rapidi avvizzimenti, successivi alle spiegazioni che il marito, Armando, era sempre in grado di fornire, ammansendo la furia della consorte. Quanto di vero vi fosse in questa storia è difficile a dirsi, poiché nessuno nel quartiere aveva mai dedicato un’osservazione scientifica al fenomeno, anche se più d’uno giurava di aver assistito a lussureggianti fioriture fuori stagione, ma senza poter assicurare di poterle correlare agli umori coniugali della coppia in questione.

La posizione del balcone, peraltro, forniva anche un osservatorio strategico ideale per esercitare un serrato controllo sui movimenti del signor Armando, un uomo brillante e dai modi affabili, in grado di esercitare un discreto fascino sulle donne, giovani e meno giovani, che costituivano una componente importante della sua clientela. Egli, infatti, gestiva un grande chiosco di fiori, proprio al centro della piazza, coadiuvato da un giovane di nome Salvatore, un ragazzo svelto e robusto arrivato pochi anni prima dal meridione. Che fosse nella sua indole o invece una calcolata abilità di commerciante, sta di fatto che il signor Armando sapeva bene come dosare la galanteria e le attenzioni rivolte alla clientela femminile e, giustificata o meno che fosse, questa sua propensione alimentava quotidianamente la fiamma della gelosia che ardeva nel cuore di Ada, animandola in una maniera esclusiva, continua, sovreccitandone le forze e spesso inducendola all’azione.

Dalla sua posizione privilegiata la signora Ada poteva controllare agevolmente tutte le mosse del marito: se si soffermava più del necessario con una cliente, se e quando si allontanava, se entrava nella pasticceria e caffetteria Montanari, che insisteva esattamente sull’angolo opposto a quello del balcone osservatorio. In particolare, le soste nella pasticceria erano soggette a controllo, essendo nota in tutto il quartiere l’avvenenza delle due figlie del titolare: Gabriella la maggiore, bellissima e inarrivabile; Mariuccia la minore, più semplice e oscurata dalla sorella, ma egualmente restia a dare confidenza. Eppure, ambedue ambitissime, anche perché future eredi di una più che prospera attività commerciale, che richiamava clienti sia da tutto il quartiere sia da quelli circostanti. Tra il tripudio di paste e torte, al banco dove venivano serviti caffè e cioccolate era un continuo andirivieni di signore, ma anche se non soprattutto di signori e giovanotti. Fra questi, ovviamente, si vedeva spesso il signor Armando che, in inverno con la scusa del freddo e in estate per il caldo, trovava sempre buone ragioni per ristorare stomaco e vista nella prestigiosa pasticceria, pur sempre sotto l’occhio vigile della moglie.

Un’altra meta prediletta dal signor Armando era il trani, l’osteria, di Oreste, sull’angolo opposto della piazza, dove nei giorni di mercato era assai facile trovare al bancone gli ambulanti che, lasciate momentaneamente le loro bancarelle, andavano a cercare ristoro nei vini generosi proposti nella popolare mescita. Ma non era quello un luogo troppo frequentato dalla popolazione femminile: troppi beoni, giocatori e poco di buono, quindi non certo adatto a scorribande galanti e perciò scarsamente soggetto alle attenzioni della signora Ada. In realtà, Armando aveva una ragione particolare e segreta per frequentare il locale, dovuta all’amicizia che lo legava al gestore, Oreste. Questi, che pure si vantava di essere amico di tutti e nello stesso tempo non aveva amici veri, si era rivolto ad Armando per avere una sorta di consulenza, essendo lui conosciuto come uomo galante e apprezzato dall’universo femminile. Oreste, invece, era uomo schivo e complessato, per quanto riguarda l’altro sesso, anche a causa di una sua leggera zoppia che, nel bene, lo aveva salvato dalla divisa durante la guerra, ma nel male lo frenava assai nell’approccio con le donne. Ora, essendosi innamorato della minore delle sorelle Montanari, Mariuccia, aveva chiesto al fiorista Armando di consigliarlo e se possibile perorare la sua causa, dato che ne conosceva l’assidua frequentazione della pasticceria. Perché poi Oreste avesse dedicato le sue attenzioni alla più piccola e più modesta delle due, anziché puntare alla bellissima Gabriella, anch’essa in età da marito, si spiegava probabilmente in quel suo sentirsi in qualche modo inferiore. O forse perché aveva perduto la spavalderia giovanile, grazie alla quale si era dedicato a tante scorribande da ragazzo in compagnia dell’unico vero amico che avesse mai avuto, Albino, suo coetaneo, compagno di scuola e non solo. Purtroppo, dopo l’armistizio per evitare l’arruolamento dalla milizia, Albino era scappato in montagna ed entrato nelle formazioni partigiane, finendo poi prigioniero, deportato, fino a lasciare la vita in un campo di concentramento. Ora c’era Armando, più vecchio di Oreste di una dozzina d’anni, che aveva accettato l’incarico con piacere, immaginando anche la possibilità di un certo divertimento nell’adempiere alla funzione di attempato Cupido. Inoltre, questo gli forniva la scusa, casomai ne avesse avuto bisogno, per frequentare più assiduamente la pasticceria e dimostrare buone e disinteressate ragioni da addurre alle possibili recriminazioni della possessiva consorte.

Quest’ultima, peraltro, non avrebbe avuto ragioni di tanta gelosia, qualora si pensi che l’avvenenza sia la qualità più necessaria per attivare e conservare i rapporti di coppia. Era infatti una donna assai piacente, alta e bruna, dai lineamenti fini e un naso sottile e arcuato. Aveva un fascino particolare, un portamento elegante, a volte sussiegoso, che le conferiva un’aria naturalmente nobiliare, cui lei dava intenzionalmente sostegno. Amava portare i capelli lunghi e raccolti, acconciandoli a seconda dell’umore del giorno: quando più era serena, li raccoglieva in una coda che, lasciandoglieli poco tirati sul capo, andava poi a cadere sulle spalle; ma in genere erano tirati, poi alzati e ben raccolti in una crocchia, a scoprire il collo e la nuca, come a volersi lasciare più libero il movimento e insieme alzare la statura, già superiore alla media. Amava sempre tenersi curata ed elegante, anche nelle faccende di casa, alle quali si dedicava per quel tanto di necessario, affidandosi preferibilmente all’aiuto di qualche donna del quartiere, scelta con cura tra le meno aggraziate, onde non indurre in tentazioni il marito Armando, che già, a suo modo di vedere, ne aveva fin troppe che gli giravano intorno. La signora Ada era comunque una donna che sapeva essere affabile e capace di conquistare la complicità delle altre donne, tanto quanto sapeva tenere a bada improvvidi corteggiatori. Diplomata in ragioneria, aveva conservato il suo lavoro di contabile presso una ditta di trasporti che aveva sede nel quartiere; le bastavano poche ore al giorno, durante le quali, costretta a concentrarsi sui numeri, dimenticava o comunque ricacciava i peggiori sentimenti, salvo poi, tornando a casa raccogliere informazioni sui movimenti del marito, interrogando lungo il tragitto amiche e portiere compiacenti che la tenevano aggiornata su eventuali movimenti sospetti.

In definitiva, quel sentimento che a molti può parere sintomo di piccolezza d’animo, di astiosità o di debolezza, era un qualcosa che nella vita della signora Ada assumeva un altro significato, era una sorta di occupazione sentimentale, che dava senso ed energia al vivere. E non solo a lei arrivavano queste energie, poiché il giallo roseto sembrava essere alimentato più che dalle cure della proprietaria, dai sentimenti della stessa; questo era ben visibile se si fosse osservato con attenzione e perseveranza la pianta troneggiante sul balcone del secondo piano. In qualche modo sembrava che il rigoglio e soprattutto la fioritura fossero regolati e alimentati non dal naturale alternarsi delle stagioni, ma dalla maggiore o minore intensità con cui la signora Ada concentrava le sue attenzioni e soprattutto la sua gelosia sul marito, a prescindere dalle motivazioni, vere o presunte, che questi potesse fornire a tale sentimento. Il piccolo roseto, oltretutto, forniva una scusa per il continuo andirivieni dal balcone, necessitando la pianta di cure continue affinché potesse mantenersi fiorita e rigogliosa. In cosa consistessero queste cure, a detta di molti, non era tanto da ricercarsi nelle normali attività di giardinaggio domestica quanto nella funzione di controllo sul marito; quindi, sempre a detta dei più, era effettivamente e arcanamente la gelosia l’autentico nutrimento per quel vegetale costantemente fiorito in giallo. Una sorta di miracolo metropolitano, che aveva contribuito a creare la leggenda condivisa nel rione.

Successe poi, sul finire di un’estate, che un nuovo personaggio arrivasse nel quartiere, ad arricchire la scena e attirare le attenzioni di Ada.

Proprio nel palazzo di fronte, al secondo piano, era da poco venuta ad abitare una nuova inquilina, una giovane di nome Marilisa, arrivata dalla provincia di Cremona e impiegata in una grande industria nella vicina periferia. La signorina, mora, sorridente e dalle forme procaci, come d’obbligo nella tradizione cremonese, aveva ben presto provveduto ad allestire una bella pianta di rose rosse rampicanti sul suo balcone, dirimpettaio a quello della signora Ada. Si era dunque immediatamente aperta una gara floreale, ma le gialle Sunbeam di Ada restavano imbattibili, alimentate dalla stessa ignara competitrice, perfettamente stagionate in grado di scatenare tutte le gelosie possibili. Se infatti Armando non poteva non aver notato le grazie della nuova venuta nel quartiere, era già il roseto concorrente stesso in grado di scatenare sentimenti avversi e involontariamente, a quanto pareva, contribuire al rigoglio dell’avversaria.

Infatti, la giovane Marilisa divenne ben presto cliente affezionata del chiosco di fiori della piazza; venendo dalla campagna sentiva tanto la mancanza di verde e piante, bellezze della natura di cui la città era avara, e ne compensava l’assenza sia coltivando le rose sul balcone sia riempiendo la casa con fiori sempre freschi e piante d’appartamento. Il signor Armando non si faceva certo pregare, poi, quando si trattava di dare consigli utili al miglior mantenimento dei preziosi vegetali, con il suo consueto garbo e i modi galanti che sapeva esibire nel servire signore e signorine, distribuendo complimenti generosi a tutte. La signorina Marilisa accettava con piacere consigli e apprezzamenti, sotto l’occhio vigile anche se lontano della signora Ada, ma in realtà sembrava più interessata al giovane aiutante Salvatore, il quale certo non si sottraeva all’incombenza di recapitare a domicilio della signorina gli acquisti che eventualmente lo necessitassero.

La galanteria così autentica del signor Armando, nonostante o forse proprio per il costante controllo della consorte, non risultava approdare mai a nulla che si potesse rimproverare all’estroverso fioraio. In verità non riceveva neppure rimproveri o rampogne, gli sguardi indagatori della moglie e soprattutto la costante e quasi miracolosa fioritura di rose gialle in tutte le stagioni gli ricordavano quale sentimento prevalesse nei suoi confronti. Ma il signor Armando sapeva come addolcire Ada, riservandole i migliori e quotidiani complimenti, dedicandole galanterie e tributi di amore e affezione e attribuendole costantemente la patente di Più bella rosa del giardino.

Le settimane e le stagioni si susseguivano così per la signora Ada, senza scosse ma nella costante tensione per la gelosia nei confronti del marito, dal quale però riceveva continue conferme di devozione e con il quale non mancavano momenti, sia pure rari, di autentica passione.

La svolta, devastante e inaspettata, giunse all’inizio della primavera dell’anno successivo. Era un anno di Pasqua bassa e il signor Armando era partito, come al solito, allo scopo di reperire per la chiesa del quartiere un’ampia fornitura di rami d’ulivo, destinati ad essere benedetti e distribuiti ai fedeli la Domenica delle Palme. Ada approvava, ma non dimenticava di sottolineare al marito come quella devozione gli fosse necessaria, Per espiare i suoi peccati.

Di quanta espiazione avesse bisogno il signor Armando è difficile a dirsi, ma il viaggio per gli ulivi durò decisamente più del previsto. Era partito il lunedì mattina sul suo furgoncino, diretto non si sa bene dove e lasciando detto che sarebbe ritornato l’indomani o il mercoledì al più tardi. Ma il mercoledì sera era arrivato senza che l’Armando fosse ricomparso e la signora Ada iniziò a preoccuparsi. Escluse da subito che ci fosse stato un incidente, le rose gialle parlavano chiaro, era sbocciata una fioritura inaspettata e quasi violenta, un segnale inequivocabile: Armando era fuggito con un’altra donna. La notte passò insonne e la mattina del giovedì si diffuse l’allarme, sostenuto anche dal sacrestano che, preoccupato nel non vedere arrivare il prezioso carico vegetale, era andato a cercare informazioni prima da Salvatore, che provvedeva alla gestione del chiosco in assenza del signor Armando, quindi direttamente a casa, dalla signora Ada che, in assenza di qualunque notizia del marito, era divisa tra la rabbia e l’angoscia. Il primo pensiero fu di controllare la presenza della signorina Marilisa, cosa resa semplice dalla vista diretta di cui si poteva godere dal balcone perfettamente antistante. Il signor Lucio, il sacrestano, zampettò dietro alla signora Ada che spalancando la porta finestra del balcone giunse a sporgersi allungando tronco e collo per scrutare presenze nella casa di fronte. Ma tanta furia fu subito rintuzzata da una Marilisa serena e sorridente che con la tazza del caffelatte in una mano, da dietro i vetri accennò a un sorriso e un saluto con la mano libera. Vedendola così fu chiaro alla signora Ada che il fedifrago non poteva essere lì, sarebbe stato troppo semplice. Il signor Lucio non si lasciò coinvolgere allora più di tanto, preoccupato com’era per la mancata fornitura: se il signor Armando non fosse tornato, non sarebbe rimasto molto tempo per correre ai ripari e procurarsi un’adeguata quantità di rami d’ulivo, prima che il Don se ne accorgesse. Era necessario rivolgersi alla vicina parrocchia, sperando che avesse materiale in eccedenza. Si congedò quindi, scusandosi frettolosamente, lasciando la donna alle prese con il suo rovello. Ada non si perse d’animo, andò in cucina e si preparò un caffè, bello forte. Lo consumò seduta e con calma, lasciando che la bevanda bollente sciogliesse il gelo che le si era formato in petto. Poi d’impulso si alzò, corse all’ingresso e, afferrato un soprabito, si precipitò in strada, decisa a chiarire, con un’indagine diretta e spietata, se il marito fosse fuggito con una pasticciera, ma fu presto delusa nel vedere entrambe le sorelle Montanari dietro al bancone. Mariuccia non fece a tempo a chiederle se desiderasse qualcosa, che Ada aveva già girato i tacchi e riguadagnato il marciapiede. Pensò che fosse inutile cercare solidarietà femminile con quelle due civette, giacché tali le riteneva. Si affrettò quindi verso il chiosco dei fiori, con il braccio e l’indice puntati verso il povero Salvatore, che se la vide arrivare in velocità, con occhi strizzati e indagatori. Ma lui stesso era già in ambasce, poiché il principale non gli aveva lasciato alcuna indicazione che superasse il mercoledì sera; quindi, il giovane non sapeva più se avrebbe dovuto continuare a reggere da solo la gestione del chiosco o cos’altro. Di certo non sapeva nulla di tresche, amanti o spasimanti del signor Armando, su questo poteva giurare. Ada chiuse il discorso sbrigativamente, rinviando a momenti meno tesi l’esame della gestione del banchetto di fiori così abbandonato dal fuggitivo; si guardò intorno appuntando uno sguardo indagatore sui diversi personaggi che quel giorno animavano la piazzetta, radunati nel mercato settimanale, ma non trovò nulla e nessuno che le suggerisse possibili complicità col marito. Poi un’illuminazione la fece muovere, indirizzandola all’osteria di Oreste, all’angolo opposto della piazza, verso la quale si avviò con un passo deciso e degno di un granatiere. Sapeva dell’amicizia di Armando con l’oste più quotato del quartiere, ma non al punto di conoscerne la complicità, di cui però aveva intuito l’esistenza. Oreste non ebbe difficoltà ad ammettere di aver chiesto l’aiuto di Armando nelle attività di corteggiamento della giovane Mariuccia Montanari, salvo scoprire ben presto di non aver poi tutto questo bisogno, poiché la ragazza sembrava non aspettare di meglio. Quanto ad Armando, non sapeva dire di altre amicizie femminili o stranezze, Infine propose alla signora Ada di andare a fare domande al negozio di macellaio di Stefano Gioia, dove negli ultimi tempi Armando si era recato con una certa continuità.

La scoperta stupì non poco Ada, a cominciare dal fatto che erano usi, lei e il marito, servirsi di carne altrove, avendo addirittura un conto aperto presso l’altra rivendita del quartiere, la bottega di Giovanni Pesce che, a dispetto del nome, garantiva i migliori tagli bovini della zona, gli agnelli più morbidi per Pasqua e capponi e tacchini ineguagliabili per Natale. Ada uscì dal trani di Oreste e dopo qualche passo si arrestò, soffermandosi a riflettere su quell’ultima stranezza del marito, di cui non gli aveva mai sentito dire nulla. Ma risolse che fosse inutile pensare e riprendendo il suo passo deciso raggiunse il negozio di macellaio condotto da Stefano Gioia. Rimase qualche istante a considerarne la vetrina, dalla quale si potevano vedere ben disposti ottimi, in apparenza, tagli di carne magra, mentre all’interno del negozio erano appesi in bella vista un paio di quarti, da cui il bottegaio stava staccando un pezzo scelto con cura per la cliente che aveva di fronte. Dopo la prima esitazione la signora Ada varcò la soglia del negozio, gettando nell’aria un sonoro Buongiorno! Dietro il bancone era appunto il macellaio, un giovanottone alto e muscoloso, che poteva avere una trentacinquina d’anni. Nell’angolo del negozio un banchetto con la cassa, dietro il quale stava appollaiata una donna dall’aria mansueta che, decise Ada, doveva essere la madre del giovanotto. Nessun’altro, oltre la cliente che raccogliendo il suo pacchetto, si accingeva a raggiungere la cassa. Ada restò in osservazione, attendendo che l’astante terminasse le sue operazioni e uscisse, mentre il macellaio riordinava i suoi attrezzi e dava una ripassata al filo di un paio di coltelli. Rimasta l’unica cliente, Ada finalmente si sentì rivolgere la domanda di rito sui suoi desideri, ma rimase muta continuando a scrutare il giovanottone. Poi a bruciapelo gli domandò se conoscesse suo marito, il signor Armando. Stefano, il macellaio, colto di sorpresa la guardò prima interdetto poi rivolse uno sguardo interrogativo alla donna alla cassa, che si limitò a sollevare le spalle, a sottolineare la sua neutralità. A quel punto Stefano non poté fare altro che confermare: Armando, quel signore raffinato e cordiale che gestiva il chiosco dei fiori, negli ultimi tempi si era fatto vedere spesso, soffermandosi a chiacchierare, specie quando non c’erano clienti in bottega, stranamente senza mai acquistare nulla. In particolare, Stefano aveva notato che il signor Armando aveva stabilito una certa intesa col giovane di bottega, Lorenzo, un ragazzo semplice ancorché di poca cultura, cui Armando aveva promesso di dare qualche ripetizione, non si sa bene di quale materia. Purtroppo, non c’era modo di avere maggiori particolari dal diretto interessato, in quanto il giovane non si era presentato al lavoro già dal lunedì e non si era riusciti nemmeno ad avere notizie in merito a questa sua assenza.

La signora Ada era rimasta immobile ad ascoltare il racconto del macellaio, senza nessuna reazione. Quando l’uomo ebbe finito di parlare, lei rimase muta, come paralizzata da un dubbio che le si era insinuato nella mente e cui si rifiutava di dare spazio e voce. Dopo un paio di lunghi minuti di silenzio, ringraziò e salutò il macellaio, accennò un sorriso alla donna alla cassa e infilò la porta. Ada si avviò verso casa, meccanicamente, sentendosi distante dalla realtà, al punto di rischiare d’essere investita da un’automobile mentre attraversava la piazza. Il dubbio aveva iniziato a farsi largo nella sua mente e la ragione la conduceva a cercare nella memoria prove che potessero avvalorarlo o, ancora meglio, smentirlo nettamente. Arrivata in prossimità di casa, alzò lo sguardo verso il suo balcone e in quel momento ebbe una certezza: le rose erano tutte sbocciate e un tripudio di giallo esplodeva, traboccando dalla ringhiera.

Le rose non potevano mentire, le ragioni della gelosia avevano concreta espressione nella loro presenza e a quella certezza Ada non poté che soccombere.



* Il racconto di Bruno Olivieri proviene dalla raccolta di racconti di prossima pubblicazione Dieci storie (quasi) impossibili.


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