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Laboratorio di scritture e altre discipline

Immagine del redattoreRedazione



Dalla pubblicazione nel 1966 di Briggflatts, Basil Bunting (1900-1985), poeta inglese, collaboratore di Ezra Pound negli anni Trenta, divenne «il poeta vivo più prestigioso d’Inghilterra». Le peripezie personali della sua vita inquieta escono profondamente nell’opera. Briggflatts è considerato uno dei più importanti libri del modernismo angloamericano. La Beat Generation e il gruppo Black Mountain ne ammirarono la forza drammaturgica dei testi.

«Briggflatts è uno dei pochi grandi poemi del secolo (…) Immediatamente dall’inizio ci attrae. Tanto, di fatto, che uno prova piacere a rileggerlo e rileggerlo, arrivando così a comprenderlo ogni volta in maniera più profonda» (Thom Gunn, 1981).

I testi proposti, provenienti da una raccolta del 1925, sono tradotti da Riccardo Benzina, del quale uscirà, nel 2025, il nuovo libro di poesia per Taut Editori.



I


He whom we anatomized

‘whose words we gathered as pleasant flowers

and thought on his wit and how neatly he described things’

speaks

to us, hatching marrow,

broody all night over the bones of a deadman.


My tongue is a curve in the ear. Vision is lies.

We saw is so and it was not so,

the Emperor with the Golden Hands, the Virgin in blue.

(-A blazing parchment,

Matthew Paris his kings in blue and gold.)


It was not so,

scratched on black by God knows who,

by God, by God knows who.


In the dark in fetters

on bended elbows I supported my weak back

hulloing to muffled walls blank again

unresonant. It was gone, is silent, is always silent.

My soundbox lacks sonority. All but inaudible

I stammer to my ear:

Naked speech! Naked beggar both blind and cold!

Wrap it for my sake in Paisley shawls and bright soft fabric,

wrap it in curves and cover it with sleek lank hair.


What trumpets? What bright hands? Fetters, it was the Emperor

with magic in darkness, I unforewained.

The golden hands are not in Averrhoes,

eyes lie and this swine’s fare bread and water

makes my head wuzz. Have pity, have pity on me!


To the right was darkness and to the left hardness

below hardness darkness above

at the feet darkness at the head partial hardness

with equal intervals without

to the left moaning and beyond a scurry.

In those days rode the good Lorraine

whom English burned at Rouen,

the day’s bones whitening in centuries’ dust.


Then he saw his ghosts glitter with golden hands,

the Emperor sliding up and up from his tomb

alongside Charles. These things are not obliterate.

White gobs spitten for mockery;

and I too shall have CY GIST, written over me.


Remember, imbeciles and wits,

sots and ascetics, fair and foul,

young girls with little tender tits,

that DEATH is written over all.


Worn hides that scarcely clothe the soul

they are so rotten, old and thin,

or firm and soft and warm and full-

fellmonger Death gets every skin.


All that is piteous, all that’s fair,

all that is fat and scant of breath,

Elisha’s baldness, Helen’s hair,

is Death’s collateral:


Three score and ten years after sight

of this pay me your pulse and breath

value received. And who dare cite,

as we forgive our debtors, Death?


Abelard and Eloise,

Henry the Fowler, Charlemagne,

Genée, Lopokova, all these

die, die in pain.


And General Grant and General Lee,

Patti and Florence Nightingale,

like Tyro and Antiope

drift among ghosts in Hell,


know nothing, are nothing, save a fume

driving across a mind

preoccupied with this: our doom

is, to be sifted by the wind,


heaped up, smoothed down like silly sands.

We are less permanent than thought.

The Emperor with the Golden Hands


is still a word, a tint, a tone,

insubstantial-glorious,

when we ourselves are dead and gone

and the green grass growing over us.


*


I


Colui che abbiamo sezionato

‘le cui parole raccogliemmo come cari fiorellini

e pensavamo alla sua arguzia, a come descriveva bene

le cose’ ci

parla, covando il midollo,

facendo la cova tutta la notte sopra alle ossa di un morto.


La mia lingua è una curva nell’orecchio. La visione, bugie.

Abbiamo visto che è così e che così non era,

l’Imperatore dalle Mani d’Oro, la Vergine in blu.

(Una pergamena fiammeggiante,

Matteo Paris con i re in blu e in oro).


Così non era,

graffiato sul nero da Dio sa chi,

da Dio, da Dio sa chi.


Nel buio in catene

sui gomiti piegati sostenevo la mia debole schiena

salutando pareti ovattate un’altra volta vuote

attutite. Non c’era più, è silenzioso, è sempre silenzioso.

La cassa armonica di poca risonanza. Quasi

impercettibile all’orecchio mi balbetto:

Discorso nudo! Barbone nudo cieco e assiderato!

Avvolgetelo per me in una pashmina, in un tessuto lieve e luminoso,

avvolgetelo in curve e copritelo con una liscia lucida peluria.


Quali trombe? Quali mani luminose? Le catene, era lui l’Imperatore

con la magia dentro lo scuro, l’ho imprevisto.

Le mani d’oro, che non ci sono in Averroè,

e gli occhi mentono e questo pranzo da maiali pane e acqua

mi fa venire il mal di testa. Abbi pietà, pietà di me!


A destra c’era il buio, a sinistra la durezza

sotto durezza sopra buio

ai piedi buio in testa parziale durezza

a intervalli uguali senza

a sinistra il gemito e al di là la fretta.

In quei giorni cavalcava la buona Lorena

che gli inglesi bruciarono a Rouen,

le ossa del giorno sbiancavano in polvere di secoli.


Poi vide i suoi fantasmi scintillare, mani d’oro,

l’Imperatore che scorreva su dalla sua tomba

accanto a Carlo. Queste cose qui non si cancellano.

Sono bianchi bocconi sputati a schernire;

e anch’io avrò poi CY GIST scritto addosso.


Ricordate, fessi o gente di buon senso,

asceti oppure sciocchi, belli o brutti,

bimbette con le tette piccole, di gelso,

che è scritto grande MORTE sopra tutti.


E poi, che pelli indossa l’anima! (ma appena)

tanto rotte, vecchie, in putrefazione,

oppure soffici, una calda pergamena -

se le prende tutte Morte, il conciatore.


Tutto quello che fa pena, oppure è bello,

tutto quel ch’è grasso o con il fiato corto,

la calvizie di Eliseo, il capello

di Elena è garanzia di Morte:


E settant’anni dopo la visione

del suddetto, ripagatemi le scorte

di fiati e battiti. Ma chi farà menzione

se rimettiamo i debiti, mia Morte?


Abelardo, Eloisa, pure Enrico

l’Uccellatore e il grande Carlo Magno,

Lopokova, Genée, sì, tutti quanti dico

finiranno stesi, ma non senza lagno.


E il generale Grant e il generale Lee,

e Patti e Florence Nightingale, ma pure

Antiope e Tiro vagabondano sbiadi-

ti tra fantasmi dell’Inferno, tra figure


e sanno nulla, sono nulla, appena

dei fumi che attraversano una mente

che teme solo questo: la catena

della sorte che va, striscia sul vento,


un cumulo di sciocche sabbie vuote.

Siamo meno permanenti del previsto.

Le Mani d'Oro dell'Imperatore


a far parola, sfumatura, tono,

inconsistente corpo degli eroi,

e anche se non siamo, loro sono,

e cresce l’erba verde su di noi.


*


II


Let his days be few and let

his bishoprick pass to another,

for he fed me on carrion and on a dry crust,

mouldy bread that his dogs had vomited,

I lying on my back in the dark place, in the grave,

fettered to a post in the damp cellarage.

            Whereinall we differ not. But they have swept the floor,

there are no dancers, no somersaulters now,

only bricks and bleak black cement and bricks,

only the military tread and the snap of the locks.

            Mine was a threeplank bed whereon

I lay and cursed the weary sun.

They took away the prison clothes

and on the frosty nights I froze.

I had a Bible where I read

that Jesus came to raise the dead—

I kept myself from going mad

by singing an old bawdy ballad

and birds sang on my windowsill

and tortured me till I was ill,

but Archipiada came to me

and comforted my cold body

and Circe excellent utterer of her mind

lay with me in that dungeon for a year

making a silk purse from an old sow’s ear

till Ronsard put a thimble on her tongue.

    Whereinall we differ not. But they have named all the stars,

trodden down the scrub of the desert, run the white moon to a schedule,

Joshua’s serf whose beauty drove men mad.

They have melted the snows from Erebus, weighed the clouds,

hunted down the white bear, hunted the whale the seal the kangaroo,

they have set private enquiry agents onto Archipiada:

What is your name? Your maiden name?

Go in there to be searched. I suspect it is not your true name.

Distinguishing marks if any? (O anthropometrics!)

Now the thumbprints for filing.

Colour of hair? of eyes? of hands? O Bertillon!

How many golden prints on the smudgy page?

Homer? Adest. Dante? Adest.

Adsunt omnes, omnes et

Villon.

Villon?

Blacked by the sun, washed by the rain,

hither and thither scurrying as the wind varies.


*


II


Lasciate che i suoi giorni siano pochi e

che il suo vescovado passi a un altro,

ché mi ha nutrito di carogne e croste secche,

di pane ammuffito, che i suoi cani vomitarono,

e giacevo supino nello scuro luogo, nella tomba,

incatenato a un palo d’umida cantina.

Non siamo poi diversi dopotutto. Ma quelli hanno spazzato il pavimento,

e non ci sono ballerini o saltimbanchi adesso,

solo mattoni e squallido cemento, nero, e poi mattoni,

solo il passo militare e poi lo scatto, la frizione

di serrature. Io posavo il fianco

sugli assi, tre, di un letto, bestemmie al sole stanco.

E mi fu tolta l’uniforme, ma restavo prigioniero:

nelle notti fredde quanto freddo avevo.

In quella Bibbia che tenevo, assorti,

resuscitava Cristo tutti i morti -

e m’impedivo la follia assegnata

con una vecchia, un’oscena ballata,

gli uccelli cantavano con me sul davanzale,

e poi quella tortura mi fece anche ammalare

ma alla fine Archipiada venne lì da me -

diede un poco di conforto al corpo freddo e

Circe, meravigliosa attrice della mente,

giacque per un anno assieme a me nella segreta

e da un lobo di scrofa cucì borse di seta

finché Ronsard non le mise un ditale sulla lingua.

    Non siamo poi diversi dopotutto. Ma hanno dato un nome ad ogni stella,

calpestata la macchia del deserto, la bianca luna scorsa sopra il calendario,

Giosuè con una serva così bella che fece uscir di testa tanti maschi.

Hanno sciolto le nevi dell’Erebus, hanno pesato anche le nuvole,

dato la caccia all’orso bianco, alla balena, alla foca ed al canguro,

messo più d’un investigatore sulle tracce di Archipiada:

Come è che ti chiami? Qual è il tuo nome di quand’eri signorina?

Entra dentro per farti perquisire. Sospetto che non sia il tuo vero nome.

Segni distintivi - se presenti? (O antropometria!)

E adesso le impronte dei pollici per l’archiviazione.

Colore dei capelli? Degli occhi? Delle mani? O Bertillon!

Dimmi, quante impronte d’oro sulla pagina macchiata?

Dico, Omero? Adest. Dante? Adest.

Adsunt omnes, omnes et

Villon.

Villon?

Se ne va di qua e di là, lo annerisce il sole, lo

lava la pioggia, cambia come cambia il vento.


*


III


Under the olive trees

walking alone

on the green terraces

very seldom

over the sea seldom

where it ravelled and spun

blue tapestries white and green

gravecloths of men

Romans and modern men

and the men of the sea

who have neither nation nor time

on the mountains seldom

the white mountains beyond

or the brown mountains between

and their drifting echoes

in the clouds and over the sea

in shrines on their ridges

the goddess of the country

silverplated in silk and embroidery

with offerings of pictures

little ships and arms

below me the ports

with naked breasts

shipless spoiled sacked

because of the beauty of Helen


precision clarifying vagueness;

boundary to a wilderness

of detail; chisel voice

smoothing the flanks of noise;

catalytic making whisper and whisper

run together like two drops of quicksilver;

factor that resolves

                        unnoted harmonies;

name of the nameless;

                        stuff that clings

to frigid limbs

                        more marble hard

than girls imagined by Mantegna...


The sea has no renewal, no forgetting,

no variety of death,

is silent with the silence of a single note.


How can I sing with my love in my bosom?

Unclean, immature and unseasonable salmon.


*


III


Sotto gli ulivi

camminando soli

su terrazze verdi

molto raramente

sul mare raramente

dove si è aperto e dove ha filato

arazzi blu bianchi e verdi

drappi funebri di uomini

romani e di uomini

moderni e degli uomini del mare

che non hanno né tempo né nazione

sulle montagne raramente

le montagne bianche al di là

o le montagne brune in mezzo

e i loro echi alla deriva

nelle nuvole e sul mare

nei santuari sulle dorsali

la dea del paese

argentata in seta e ricami

con offerte di immagini

piccole navi e armi

sotto di me i porti

con i seni nudi

senza nave viziati saccheggiati

per la bellezza di Elena


precisione che chiarisce la vaghezza;

confine alla selvaggia irrequietezza

del dettaglio; voce di cesello

a levigare i fianchi del macello;

catalisi dei fiati, più vicino,

a due a due, a gocce, argento vivo;

fattore che risolve

                        inavvertite armonie

nomi del senzanome;

                        roba che si aggrappa

alle membra gelide

                        più marmoree dure

di ragazze immaginate dal Mantegna...


Il mare non rinnova, non dimentica,

non ha nessuna varietà di morte,

sta zitto nel silenzio di una nota sola.


E poi, potrò cantare con questo amore in seno?

Salmone intempestivo, sporco, acerbo nientemeno.


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