Poesia italiana / Dario Bellezza
- Redazione

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Per continuare con gli autori ingiustamente trascurati a vantaggio di una scrittura piana e da davanzale, di un realismo straccione, torniamo a questo autore di una Roma ancora pasoliniana, Dario Bellezza (1944-1996). Autore di raccolte cruciali e disperate come Morte segreta (Garzanti 1976, Premio Viareggio), Serpenta (Mondadori 1987) e Libro di poesia (Garzanti 1990), il suo esordio, Invettive e licenze (Garzanti 1971), convinse Pasolini, che lo definì «il miglior poeta della sua generazione». Da quella raccolta provengono i testi che riportiamo in questa breve antologia. L’ultima edizione di tutte le poesie, negli Oscar Mondadori, risale al 2015. In un contesto contemporaneo di sfrenato presenzialismo, un autore autentico e defunto come Bellezza non viene più difeso da nessuno – come nel caso di Sandro Penna.
È il tuo corpo santo che m’illude
di esistere, di essere sano.
Come devotamente lo spio soffrire
d’impotenza e reclino sicuro
a toccare con mano il tradimento,
………………………………
Dove le tue ali ti portano
io vado. Dove l’insonnia mi trattiene
io aspetto il tuo corpo mortale
posseduto invano.
Qui scrivo sterilmente il testamento
testardo e ubbidiente, esco estraneo
all’aria perfino che respiro. Lo so
di essere morto sospirando
di passeggiare sulla luna.
*
A CARLO BETOCCHI
Sterile figlio della notte feconda
il rimosso appeso al filo del sonno
canta le sue sottili nenie, la sua ira
attraverso le coltri mezze nere
ma le sue grandi ali variopinte
non si spezzano all’urto del sonnifero
ospitale. Quando nato da un sogno
l’incubo ci porterà a te spiaggia
di un nostro perduto mare,
la tua fronte stellata, i tuoi occhi
scolorati baceremo e come
colombe dal desio chiamate
chiameremo l’amore col suo nome
maledetto.
*
ALLA RIVOLUZIONE
S’attarda la rivoluzione in conversari
fra capi stupidi. E, dopo tutto,
precipiterà nell’infingardo
che comanda e purgatorizza come può
i possibili gregari dell’eternità.
*
A PIER PAOLO PASOLINI
M’aggiro fra ricatti e botte e licenzio
la mia anima mezza vuota e peccatrice
e la derelitta crocifissione mia sola
sa chi sono: spia e ricattatore
che odia i suoi simili. E non trovo
pace in questa sordida lotta
contro la mia rovina, il suo sfacelo.
Dio! Non attendo che la morte.
Ignoro il corso della Storia. So solo
la bestia che è in me e latra.
*
A ELSA MORANTE
I ragazzi drogati, guardie del corpo
dell’Assoluto, vanno per il mondo
mattutino fino alla sera della loro
sopravvivenza: come passerotti
mangiano distrattamente
tutti presi dai loro sogni d’avventura.
E la sciagura che li coglie per strada
e li fulmina piamente stecchiti
li lascia prede delle iene umane
che scrivono i loro necrologi sui giornali.
Le loro dita sono piene di anelli;
la loro grazia bugiarda di mentire
sa che io non ho bisogno di droghe.
E mi guardano come un povero reietto,
un infelice, ma troppo non m’offendo.
So che vanno per le vie del mondo
con in bocca il sapore della polvere
e del tossico:
strepito vano è il loro baloccarsi
bambino, orgoglio luciferino
di chi si consuma, strugge come cera,
ma anche così la mia voce smorta
li vorrà sempre al mio capezzale.
*
Vai a rubare ad una città lontana.
Non cresce la tua età ma torni indietro
e il medico dei pazzi sentenzia la tua
dolcissima insania. Oh! Uccidimi
prima che bruci fino all’ossa.
*
AD A. R.
«Sono una iena che ha denunziato il suo rivale.
Ma senza di te non ci potevo stare. L’ho denunziato
sì, senza stile, alle benedetta polizia, per droga
e il permesso di soggiorno gli hanno tolto, non
gli hanno torto neppure un capello. Faceva
il pittore a Piazza Navona e tu dicevi
che era il più grande pittore del mondo!»
*
Non si vedrà per tutto l’inverno
il mio ragazzo venire dal lattaio
con la busta del latte da mezzo litro:
tutti penseranno che il radicato
nel mio cuore aspetta malato
che io arrivi con la busta in mano.
Non si vedrà per tutta la primavera
il suo ritorno; le lacrime invano
scivoleranno dalle mie guance:
tutti penseranno che mi ha lasciato
solo nella mia grande casa.
Non si vedrà per tutta l’estate
la sua abbronzatura cittadina,
ma al mare uguale ai più tranquilli
e solitari ragazzi lo immagineranno
silenziosamente disteso sulla sabbia.
Non si vedrà in autunno alcuno
bussare alla mia porta marroncina:
tutti mi guarderanno con tristezza
perché questa è la stagione dei morti.
*
Forse mi prende malinconia a letto
se ripenso alla mia vita tempesta e di
mattina alzandomi s’involano i vani
sogni e davanti alla zuppa di latte
annego i miei casi disperati.
Gli orli senza miele della tazza
screpolata ai quali mi attacco a bere
e nella gola scivola piano il mio
dolore che s’abbandona alle
immagini di ieri, quando tu c’eri.
Che peccato questa solitudine, questo
scrivere versi ascoltando il peccatore
cuore sempre nella stessa stanza
con due grandi finestre, un tavolo
e un lettino di scapolo in miseria.
E se l’orecchio poso al rumore solo
delle scale battute dal rimorso
sento la tua discesa corrosa
dalla speranza.
*
Bruciavi d’amore e voluttà
sul tram, nei calzoni scoloriti
dall’estate.
Sull’erba matta dei giardini
di notte i nostri abbracci.
Noi,
le generazioni sterili per la morte.
*
Nella luce fioca mi lecco
le ferite mortali e la mia
anima-foglia leggera va
in cerca del Padrone.
Chi è nell’ombra solo sa
quanto il giorno è mortale
bianca statua solare
che non incanta più la mia
morta mattina.
*
L’insonnia che mi prende
la mattina scompare.
Ma più difficile è cercarti
così ridotto, in malora
dentro la nostra tana.
Stanza che descrivo assolata:
il largo letto matrimoniale,
l’odore del mio corpo
e non il tuo.
*
Ma non saprai giammai perché sorrido.
Perché fui il pedante Amleto
della più consolatrice borghesia.
Perché non ho combattuto il Leviatano
Stato che vuole tutto inghiottire
nella macchinosa congerie
della sua burocrazia inesorabile.
Ora mi nascono le unghie come ai morti.





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