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Laboratorio di scritture e altre discipline

  • Immagine del redattoreRedazione

Alle volte, come nel caso di Vivere nel quartiere (Edb Milano 2021, euro 16), l’ultimo libro d’artista di Massimo Dagnino, seguire fin troppo alla lettera un titolo porta ad assumere un atteggiamento, un approccio sbagliato al volume che racchiude. Infatti, una prima reazione che può avvenire sfogliando il volume è quella di trovarsi di fronte a un libro che documenti alcune caratteristiche di insediamenti popolari nella città di Genova. Gli elementi ci sono tutti: tre unità urbanistiche ben delineate («Pegli 3 – le Lavatrici», il «Cep», il «Biscione»), materiale fotografico per lo più impiegato per rendere conto delle modalità d’accesso (gli ascensori, per esempio) e poi il concentrarsi della matita sul ripetersi delle forme – i moduli – che delineano i diversi quartieri. Basta però solo un minimo di attenzione per sprofondare nel cortocircuito che il titolo stesso attiva: vivere nel quartiere, ma fin da subito è evidentissimo che in questo libro di vita ce n’è ben poca. Anzi è quasi del tutto assente. Dagnino è ben scaltro e nel comporre questo suo lavoro riesce a svincolarsi dalla dimensione esclusivamente compilatoria, a partire dai rivoli più facili e prevedibili. La dimensione mimetica e cartolinesca è espulsa. Non sono i «luoghi del cuore», dell’«infanzia» ecc. come un tema simile suggerirebbe subito di affrontare. I quartieri nelle matite del genovese sembrano non avere mai ospitato la vita. Né luoghi fantasma, né rovine. Sono solo luoghi altamente inospitali. La sensazione è corroborata dal fatto che quei pochi segni riconducibili a una parvenza vitale – in tutto tre, se si esclude la sparuta presenza vegetale che sembra assediare dall’esterno – è come calata sotto l’orbita di un assassinio: racchiusa in una mandorla una coda di topo recisa si offre come reperto di una scena del crimine. Poco distante, il suo probabile assassino – un felino ombroso di sopra un cornicione – vigila la scena, anzi tutte le possibili scene: pronto a balzare su ogni avventore desiderato o meno.

La scelta dei quartieri operata da Dagnino, oltre che per un valore estetico intrinseco, è forse dettata anche da altro. Fra i vari tagli e impianti spaziali in continuo mutamento fra le tavole – siano esse disegni o fotografie – sembra esserci l’intenzione di far emergere un tema cardine: quello della verticalità. Formalmente: spezzando e rimontando pezzi di facciata, che nell’annullamento dello spazio dato dal montaggio tendono a configurarsi come muri o torri; oppure facendo leva su oggetti che incarnino il concetto mediante l’uso: le già citate soluzioni d’accesso. Non solo: Dagnino non si limita a operare all’interno del libro, ma lavora a rendere lo stesso come un qualcosa di autonomo e significante di per sé. Differenziandosi dagli altri libri d’artista già pubblicati, Vivere nel quartiere non reca niente in copertina: solo un fondo nebuloso e terrigno, con nome e titolo spostati rispetto al centro e piccoli. L’immagine, però, non tarda ad arrivare comparendo nell’aletta adiacente. Ciò che al normale ospiterebbe un paratesto oppure nulla fa mostra di sé con una maschera di ascensore –simile a una stele funeraria. Tornerà in mente non appena si sarà giunti all’ultima pagina: con lo stesso ascensore chiuso. Si è espulsi e ricondotti al punto di partenza. Occorre, dunque, intendere la verticalità non tanto come un semplice accidente dettato dall’architettura, ma come l’elemento in grado di rendere evidente una separazione. Il libro e il «quartiere», infatti, sono qualcosa di nettamente staccato rispetto a ciò che li circonda, purtuttavia risultano accessibili in grazia di un tempo limitato e compresso. Ciò che è rappresentato è la mente, in questo caso dell’autore. Ed ecco, la cifra in versi: «Un picco, si aperta una breccia»; «settimane ritratte / in un’unica pulsazione cardiaca» – estratti dalle poesie che chiudono il volume. A partire da alcuni dati urbanistici, Dagnino dà luogo e visibilità all’autoriflessione. La rapinosa percezione della sede e, allo stesso tempo, dello schedario da cui un intero regime di vita prende le mosse. Vivere nel quartiere è stato composto nel 2013.


Davide Cortese




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