Dopo quella volta, non ne abbiamo saputo più niente.
I due ragazzi ci erano rimasti di fianco a lungo, quella sera, comparsi d’un tratto da chissà dove. Nei loro discorsi pieni d’inconsapevole malizia e di grazia, avrei creduto di risentire me da giovane intrattenerti a cena, con tutta la mia leziosa stravaganza di assoluti sulla vita, di fronte alla tua furba condiscendenza. Di fatto ne conoscevamo ormai tutta la storia, passata e presente, e forse per questo dopo un po’ ti erano sembrati insopportabili.
Attorno, la gente diradava, a tratti svaporando nella notte di quel maggio incerto.
Sul bordo della muraglia a picco sul mare, rabbrividendo nella tarda primavera umida che ancora non sapeva nulla dell’estate, ti ho guardata, seduta di fronte a me come lei con quell’altro. Abbiamo saputo all’unisono, senza rivelarceli, i pensieri che svagavano nell’anima inquieta e malinconica di lui. Abbiamo provato pena e tenerezza a un tempo; tu hai persino sorriso, beffarda, quando ha indugiato più del dovuto nello sguardo addensato di lei.
A un certo punto ti sei distratta; tolleravi controvoglia il mio interesse, la mia noiosa disciplina nel considerare la trama consunta di gesti e di parole messa in scena qualche metro più in là. Di quanti fantasmi fosse popolata la loro vicenda - così intessuta di confessioni a mezza voce, e fraintendimenti su cosa fossero loro due insieme - sapevo ormai abbastanza. Così, ignorata, mi hai afferrato brusca il mento e mi hai baciato a lungo, con violenza, mentre ricambiavo incerto e un po’ pensando: Con dolcezza, e senza fretta, tirala a te e dalle un bacio. Quasi come il primo che tu abbia mai dato.
Sarebbe inefficace chiedersi perché lui non l’avesse fatto. Perché non proprio lì, davanti al secondo o terzo bicchiere di Malvasia a stomaco vuoto, che la testa appena appena vorticava a entrambi. Persino tu, a quel punto, avresti dovuto sentire il rumore dei miei pensieri; perché di colpo ti ha scosso via, non certo offesa, per nulla risentita - comprensiva, quasi.
Forse è stato nel mezzo di quella prolungata indecisione, mentre lui non faceva mistero del mancato coraggio con il suo silenzio, che lei - che aveva capito tutto - ha spento l’ultima sigaretta, ha svuotato il calice e ha detto: «Andiamo?».
Gli abbiamo letto in viso il disappunto di averla persa per sempre. Mi hai compatito, come si fa con i disperati, senza più insistere nella tua durezza.
Scendendo verso la piazza enorme e deserta, poco prima di sparire ai nostri occhi, lei gli si è stretta contro e ha appoggiato la testa sulla sua spalla. Lui l’ha abbracciata, discreto.
Dopo, non ne abbiamo saputo più niente.
* Filippo Parisi è nato a Bari nel 1993, si è laureato in Filologia moderna all’Università degli studi Aldo Moro con una tesi sulla metanarrativa di Massimo Bontempelli. Ha pubblicato una raccolta di racconti, Delle cose che furono. Nove incontri sospesi (Wip, Bari 2018). Dal 2016 cura il blog «Materiali difformi». L’immagine è di Sara Suriano.