Il geometra Bana lavorava dentro un capannone della ditta di subappalto ai servizi postali della sua famiglia in Val Brembana. Ci lavorava dal diploma, fu l’ultimo degli eredi a lavorarci e il primo tra tutti dopo l’acquisizione dei russi che avevano messo mano sul settore dopo l’ondata pandemica che aveva sconvolto la dorsale economica italiana. «Ci hanno fatto a pezzi e poi comprati con niente», ripeteva tutte le mattine pulendosi energicamente le scarpe sul tappeto all’ingresso. Ricorda benissimo il giorno in cui arrivarono e gli cambiarono il badge. Aveva fatto tutto suo padre, si era dovuto piegare. Da quel momento gli operai addetti allo smistamento non lo salutavano più. Era diventato invisibile, uno di loro.
Celibe, passava ore e ore lì dentro per dare un senso a quelle giornate che non arrivavano mai alla fine e che lo separavano dai bicchieri di grappa nel bar centrale di Olmo al Brembo dove andava a consumare il suo corpo al bancone. Arrivato all’età del pensionamento, mancavano dunque pochi giorni e pochi bicchieri, decise di accendere il computer posizionando il suo smartphone davanti il QR Code aziendale. Inserendo il pin ebbe accesso al suo desktop perfettamente ordinato come il casellario cartaceo che aveva curato per anni. «Ora vi faccio sparire tutti», disse riferendosi ai file. Si guardò le spalle e iniziò a cestinare tutte le cartelle. Un’operazione disperata e maniacale che lo avrebbe portato a una punizione esemplare. Voleva essere visibile agli occhi di tutti gli operai, voleva essere ricordato da tutti i servizi postali della Val Brembana e d’Italia come l’anarchico dei pacchi. Era il pacco bomba che avrebbe fatto scoppiare i russi nel suo capannone. L’eco della notizia sarebbe risuonato in tutti i magazzini automatizzati, in tutte le stazioni di scambio dei treni ultraveloci sovrastando il silenzio della valle, sulla rete avrebbero condiviso e visualizzato il momento esatto dello scoppio e della giustizia sociale. Alcuni lo avrebbero rivisto a casa da soli una volta osservato velocemente riprodotto sui grandi pannelli pubblicitari sulle facciate dei palazzi.
Avrebbe provocato orrore e stupore nell’epoca delle guerre inoculate nell’uomo che non grida.
Orario di timbratura il suo computer era come uscito dalla produzione: nuovo e basico.
Bana andò al bancone, si regalò un extra offrendo da bere a Jana la barista ceca che aveva corteggiato per molti anni sognandola di notte dopo l’arrivo dei russi sul Brembo. «Tu meriti un uomo con una pensione migliore della mia Jana», le diceva ridendo mentre lei, delusa, ritraeva la mano da sotto la sua.
Arrivato in ufficio era pronto ad affrontare l’amministrazione. «Sicuramente le notifiche di tutte quelle cartelle cancellate avranno allertato il sistema», pensava eccitato. Il suo desktop si illuminò e vide che nulla era cambiato e che tutti i file erano nella stessa posizione del giorno prima.
Alzò lo sguardo e vide il grande occhio nero della telecamera di sicurezza rosso, questo significava che non era in funzione. Contrariato si rimise all’opera.
Quindici giorni dopo nulla era cambiato. I file si rigeneravano giorno dopo giorno e nessun ammonimento arrivava. Il pensiero incominciava a vacillare. Prima di uscire di casa posizionava con perizia il piccolo congegno esplosivo sotto l’orologio comprato con un piccolo anticipo della pensione da un vecchio armeno che, per guadagnarsi da vivere e tenersi lontano dai guai, si occupava di permacultura. Per lui aveva fatto uno strappo alla regola, aveva intuito dove volesse andare a parare. Stava regalando una morte gloriosa a un uomo mediocre. Lo doveva al mondo.
Il geometra Bana, il mite Bana, si era prefigurato la scena: l’occhio della sicurezza che si accendeva di verde, i passi degli ausiliari dell’amministrazione che lo venivano a prelevare per portarlo davanti ai capi al piano di sopra, lo sguardo a volo d’uccello sulla produzione in cima alle scale. Boom.
Nessuno lo veniva a cercare. I file continuavano a rigenerarsi come blatte sullo schermo piatto.
Si sentiva soffocare. Iniziò a sciogliere il nodo della cravatta e poi i primi due bottoni della camicia.
Guardò l’orologio e diede un colpo deciso al quadrante. La luce verde della telecamera di sicurezza lo inquadrava da qualche minuto. Il dispositivo non detonò. Provò a colpirlo plurime volte tra le risate dei colleghi che si erano riuniti alle sue spalle. Dietro di loro le macchine automatizzate imballavano pacchi per centinaia di rubli.
Bana si alzò come una furia e prese un martello da una vecchia cassetta degli attrezzi. Cercò di colpire il monitor ma i suoi file venivano riprodotti anche su altri schermi.
«Burnout, si dice così, quando vai fuori di testa per il troppo lavoro, Bana l’hanno internato nella villa del comune quella vicino al vecchio campanile». Questa era la versione ufficiale dell’amministrazione, dei colleghi, di Jana, del vecchio armeno.
Un giovane ingegnere meccanico prese subito il suo posto. La luce verde del dispositivo di sicurezza restò accesa per qualche mese prima di mettersi in stand-by.
* Valentina Desideri è nata a Roma nel 1986, dove lavora come collaboratrice parlamentare: «da sempre annaffio la grande pianta della comunicazione». Ha pubblicato il romanzo Parlami Comò, Porto Seguro Editore (2020). La foto è dell'autrice.
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