Laboratorio inediti / Edoardo Scipioni
- Redazione
- 13 apr
- Tempo di lettura: 2 min

Edoardo Scipioni è nato a Varese nel 1994, dove vive e lavora. Ha esordito nel 2021 con Giaciture (Ensemble) e alcuni suoi testi sono stati pubblicati su riviste come «Atelier», «Poesia del nostro tempo», «Inverso» e «Poetarum Silva». Le poesie che proponiamo provengono da una raccolta ancora inedita intitolata Camera assenza.
MEMBRANA, NOTTE
Gli oggetti appaiono in ordine di chiamata
la notte per prima, ha una mente appena udibile
un gesto precedente
di suono ampio a fine espansione,
ricade prima del primo sguardo gettato
sui suoi materiali.
Ogni cosa parlerà, se deve, da questo battesimo in avanti.
C’è un tempismo per assassinare alcune voci,
affilarle a particolari.
Decoratori d’incendi, grandi sognatori, lutto breve
che non ha saputo uscire dal tempo,
entrare a occhi spalancati, da nemico dentro il bene.
L’universo è stata l’idea più elegante
galleggia attorno all’increspatura del vuoto,
dilata il lento petto di cigno.
E tutto verrà da capo, senza impronte.
Ma è ancora troppo debole il mio occhio innato,
la mia estranea accettazione.
*
PNX
Per tutto il pomeriggio sulla barella
il polmone caduto scottava fra le costole
come un boccone che fuma sulla forchetta.
Il drenaggio scolava sporcizia
dal fianco aperto lungo il tubicino,
la accumulava nella cassetta di plastica.
Una volta spostato il corpo
nella camera la notte si infilava
a pari tempo con un osanna di morfina.
Alle due del mattino la salute, gonfia
lampeggiava sulla sedia per le visite.
Allora sì, ci ero dentro,
a qualche ora dalla seconda operazione
l’ho vista arrivare e le ho letto nell’anima.
Per la mia paura ero bellissimo,
un lebbroso che luccica nel buio.
*
SPETTRO ESTIVO
La visione è colta, con l’unghia il seme dall’ovatta.
Cedo il mio odore alle ultime pinete marine
che ondeggiano come fantasmi da camera.
Qualunque cantilena a questo punto
mi cullerebbe, la risacca e il suo largo sermone di sponda
che sa svezzare a passante.
Filo soffiato, corpo attraverso
sbalzato fuori e dentro il guardato
a cui viene intimato un lavoro. Il silenzio
da una condensa di immagini pesanti, aria di sorso
finché da nebbia e svela.
*
CAMERA ASSENZA
L’apparso è chiuso, la pronuncia
tra buio e buio ritorna un addio.
Chiudi la porta della stanza,
per la tua ferita non hai segreti
solo un corpo ripido e confortevole
largo come l’intero vissuto e via via.
Calibra con cura i gesti rapiti,
antiche frizioni nel crisma ossigenato.
E in quell’aria rovescia il rogo nero
della mente alimentata e percossa,
lo spettro freme, scuce fili di sangue
finché ti spoglia con mani che gelano.
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