Francesco Boscardin è davvero giovane, ha diciannove anni ed è nato a Bassano del Grappa. Vive a Venezia, dove studia Filosofia all’Università Ca’ Foscari. È giovanissimo ma ha già capito che i testi devono ristagnare, per rileggerli con distacco, a distanza di tempo, come fossero altrui. Per essere sufficientemente crudeli. Lavorarci è duro, si perdono le notti su due virgole, obbliga a rinunciare a parte di se stessi, a snodi che magari ci sono serviti a costruire i testi, come i ponteggi degli edifici - che però alla fine vengono rimossi.
INSONNIA
Le stelle respirano sui muri
di queste case spente.
Non se non vogliono andare
da questo cielo pressoché pallido.
Qui c’è qualcuno che vuole rinascere.
Le immagino rantolare, ormai finite,
sopra un letto d’ospedale.
Viene a prendersele il Sole - cerco
qualcosa che mi rattoppi porgendomi
un abbaglio.
*
LE MURA
Non le mura ma l’odio
simile a una bestia nella stanza.
Il servo controlla il padrone
controllore del servo domato.
Senza il presagio che le lune mandavano ai poeti.
*
LA LINEA
Il lampione ronza.
Gli insetti gli orbitano attorno
come lune.
Sento il tempo scivolarmi di mano.
Istanti sudati, specchi umidi,
la mente non frena. Perdo il perno.
Ronzano.
*
TRAMONTO
Piano il tramonto. Immobilità.
Il cielo bonifica le vertebre
sporche di pensieri.
Ognuno qualcosa ha compiuto,
precario tra la noia e l’impegno:
è stata mossa un po’ di realtà.
È l’ora che non richiama alla funzione,
il tempo scopre le possibilità. Leggera catatonia
sospensione, rossore: serenità.
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