Vito Russo è nato Putignano, in provincia di Bari, nel 1981 ma dal 2007 vive tra Milano e Pavia. Nel 2011 ha pubblicato la raccolta Tra la palpebra e l’occhio (LietoColle). È stato finalista al premio Cetonaverde Poesia 2011. Sue poesie e interventi critici sono stati pubblicati su riviste, tra cui «Lo Specchio de La Stampa», «Poesia», «Incroci» e «Punto». È presente in alcune antologie, tra cui A Sud del Sud dei Santi (LietoColle 2013) e Come una mezzaluna nel sole di maggio (Fallone 2017). Le prose che proponiamo provengono dal libro in versi inedito Del buio e della luce.
La fioritura dell’acacia è in ritardo quest’anno. Nessuno sembra essersene accorto, eppure le tangenziali non hanno lacrime da piangere, solo gocce di sudore sulle tempie. È come se fosse saltato l’accordo che ci rende parte del mondo. Invidio la capacità dei vecchi di osservare il vuoto dai balconi, con il palmo di una mano sulla tempia. Io guardo i loro occhi che guardano la luce opposta degli amanti.
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I tempi di reazione si allungano in queste sere di scontrini smarriti e cieli d’ocra rigati di scie. Si muove verso l’alto il fumo della candela antizanzare, come se tutto questo male esploso fosse solo anidride carbonica. Noi ne respiriamo il nero che ci avvolge, che ci disegna il perimetro.
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Popoli interi dell’Anatolia centrale si rifugiavano nel sottosuolo, in cunicoli scavati nel tufo, per difendersi dalle invasioni dei nemici, per sfuggire all’assedio delle città. In migliaia ci vivevano per anni. Avevano pensato a prese d’aria, canali verticali, camini nascosti in superficie per il passaggio dell’ossigeno. Avevano deciso di vivere al buio.
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