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L’esaurita / Un racconto di Edgarda Golino



Jolanda si risveglia in una barella d’ospedale nuda, indossa solo un pannolone e ha i polsi legati di fianco. Le due infermiere che le sono vicine le dicono che va tutto bene, che verrà slegata, e una delle due le accarezza la fronte e le sussurra: va tutto bene, sei stata brava. Ora è tutto finito. Jolanda sente addosso solo freddo e umido. Il pannolone non serve più e glielo sfilano piano e cominciano a pulirla tutta con delle spugne. Mia cara sei ricoverata nel reparto di medicina, va tutto bene. Jolanda però sente un torpore strano, non riesce a muoversi, ha difficoltà a parlare ma sente, sente voci e rumori e ora ricorda di aver urlato: voglio Francesco, voglio lui, mi fido solo di lui, disperata. E forse per questo l’hanno legata, perché urlava disperata che voleva Francesco. Sì, ora comincia a ricordare. Lo aveva visto e gli aveva vomitato adosso tutto il suo disprezzo, che aveva tentato il suicidio per colpa sua ma che lo aveva perdonato. E che non voleva ferirlo, no, no: voleva giustizia. Ma cosa era successo? Di cosa lo aveva accusato? Era venuto in ospedale o era venuto in sogno? Questo non lo ricorda. Ricorda solo di avergli urlato che quello che era successo l’aveva uccisa e che lei lo amava nonostante tutto e nonostante tutto continuava a fidarsi solo di lui. Si, lo ricorda bene adesso. Lentamente comincia a ricordare che non era un sogno, lei lo aveva incontrato.

Nel frattempo arriva un uomo col camice bianco, coi capelli bianchi e gli occhiali e le spiega che ora sta bene, che è fuori pericolo, e verrà dimessa dal reparto in giornata ma dovrà prima sostenere un colloquio psichiatrico. Signora Jolanda, le dice, lei è stata in coma farmacologico per 5 giorni per l’assunzione di una grande quantità di psicofarmaci, ma siamo riusciti ad agire tempestivamente e non riporta nessuna compromissione degli organi quali reni, fegato e tiroide. E dalla barella ora può scendere lentamente e cominciare a camminare, ma faccia attenzione, è ancora debole. E Jolanda si sente improvvisamente felice, non sa nemmeno lei per cosa, ma è felice che quell’uomo le sorrida e che anche le infermiere le sorridano. Si ritrova in un letto con accanto una dottoressa bionda che le dice che è ricoverata nel reparto di psichiatria e che dovrà rimanerci qualche giorno per rimanere sotto osservazione, e si rende conto che è in una stanza doppia con un’altra donna. Trascorrono diversi giorni in uno stato di alterazione. Il dott. Disdegno, il primario del reparto, ogni giorno va a farle visita e le fa un primo colloquio. Ah, lei ora è libera quando nel reparto di medicina era legata, che strano caso, semmai avrebbe dovuto essere il contrario, siamo noi che di solito conteniamo i pazienti, è proprio un caso strano. E continua facendole presente che sta attraversando una fase maniacale e per questo non deve sforzarsi: che l’entusiasmo che sente le viene da una fase euforica che le produce questa strana eccitazione che passerà. Le spiega, inoltre, che in quel reparto Jolanda ci dovrà rimanere qualche settimana. Una mattina la donna le rivolge la parola: ehilà, come stai? E lei le risponde: ciao, meglio… Sai da quanto sono qui? E lei: è tutta la settimana che dormi e parli nel sonno. Ti fanno flebo da mattina a sera. E lei: sì, lo ricordo bene, come ricordo di aver parlato con dei medici e di aver camminato su e giù per un corridoio lungo. E la donna: diciamo… in realtà quelle poche volte che ti sei alzata, ti sei trascinata come uno zombie e mi hai rivolto la parola diverse volte ma poi facevi discorsi tutti tuoi: diciamo che non eri lucida, ecco. Ma di cosa soffri? E Jolanda: sono affetta da disturbo bipolare, e tu? Io disturbo ossessivo compulsivo, conosci? No, non so di cosa si tratta ma ne ho sentito parlare. Non è la prima volta che finisco in ospedale, e sempre per la stessa ragione… Già, per Jolanda non è la prima volta, e spera in cuor suo che non sia un ricovero lungo come il precedente ma date le premesse sospende ogni giudizio. E ancora: piacere sono Jolanda… e lei: piacere, io Anna. E le sorride con dolcezza, con uno sguardo che esprime un’intimità, come se la conoscesse da sempre. Anna è una donna sui 30 anni, coi capelli biondi e gli occhi verdi e indossa una tuta nera aderente da cui spunta una maglietta rosa su cui è stampata una corona e la scritta little princess. Sai come si chiamano i dottori? E Anna: quello con gli occhiali è Disdegno e la bionda è La Mazza, e sono bravi! Poi gli altri non so, anch’io è da poco che sono ricoverata e non ho imparato ancora a distinguerli tutti. Un altro è si chiama Moccolo, pensa tu. E Jolanda: ma come mai sei qua? E lei, problemi vari di ansia assurda. Poi ti racconto. Jolanda le chiede come fare per parlare con un infermiere e chiedere del cellulare, perché vuole fare una telefonata per chiamare la sua amica Laura. Vuole sentire lei che non può immaginare che è ricoverata in un reparto psichiatrico. Il cellulare è in consegna dagli infermieri che glielo restituiscono. Jolanda le racconta tutto per telefono, a lei incredula nel sentirla così stranamente eccitata perché sopravvissuta a un simile colpo. Sì, colpo, proprio così, ha detto per telefono Jolanda, che il colpo non le è riuscito per fortuna, ma che aveva voglia di vederla per raccontarle quello che era successo con Francesco, suo fratello: sai Laura, mi sento felice di essere sopravvissuta, voglio fare una festa con dolci e fiori, voglio fare una festa coi pazienti e con i medici, non puoi capire, cara, cosa significa risvegliarsi da un coma. Ti voglio qui per festeggiare! E tu non puoi mancare. Jolanda non si sente eccitata, come le hanno detto i medici, si sente solo felice di essere sopravvissuta al colpo micidiale che si è inflitta e ha inflitto ai suoi dopo l’udienza in tribunale. Per questo vuole fare la festa, dove ha invitato Laura. L’orario delle visite è dalle 18 alle 20. Ma lei non vuole vedere i suoi, vuole vedere lei per raccontarle dell’accaduto. Di Francesco che l’ha trascinata in tribunale e si è fatto nominare amministratore di sostegno, contro il suo volere. E lì che si è sentita spacciata, che si è sentita uccisa da quel verdetto che lo proclamava amministratore di sostegno, complici i suoi genitori e uno psichiatra che avevano avallato Francesco in questa mossa. E allora, dopo due giorni d’inferno a casa, di alterchi e minacce di farla finita, proprio dopo una di queste estenuanti discussioni, Jolanda rientra a casa sua e presa da uno dei suoi attacchi di bulimia trangurgia tutto quello che è a tiro, una grande quantità di psicofarmaci e scrive su un biglietto: E niente pettegolezzi. Addio. È stato il padre che non vedendola arrivare per pranzo e avendo le chiavi di casa sua, l’ha salvata chiamando l’ambulanza. Laura non può credere a tutto ciò, abbraccia Jolanda e piange con lei. E Anna, che ascolta le due donne in silenzio, scoppia in lacrime anche lei. Le risuona la sua ossessione di morte, il pensiero continuo che la logora e per cui non riesce più a toccare cibo. Da quando l’ex marito le ha portato via sua figlia è caduta in una forma di ansia che la paralizza in tutto: non esce più di casa, non si lava, non si veste, sta sempre a letto e trascorre il tempo ad ascoltare musica con le cuffie, per tentare di annientare l’ossessivo pensiero di morte che l’avvinghia e il buco nero da cui si sente risucchiata per la mancanza di sua figlia Lory, di 13 anni. Vorrebbe farla finita ma una forza più grande la trattiene, l’essere madre di una ragazza che adora e che non potrebbe più rivedere, e questa conflittualità la avvita al letto, da dove non riesce a scendere se non per andare in bagno.

Nel frattempo Laura, che ha portato con sè i dolcetti di mandorle e i fiori, prende sottobraccio Jolanda che le fa visitare il reparto e le presenta gli infermieri e i medici di turno e offre loro i dolcetti che ripone su un tavolo della stanza del refettorio. Jolanda accende la TV e la sintonizza su un canale radio e invita tutti a ballare perché è la sua festa. Il refettorio si trova giusto al centro del reparto e affaccia sul porto. È lì che i malati vanno a fumare: sul balcone del refettorio; è come se fosse il loro polmone, ed è suggestivo osservare il tramonto nel mare. Laura a quel punto chiede a Jolanda cos’è un amministratore di sostegno e per quale motivo Francesco si è preso questa responsabilità. E Jolanda le risponde facendo su con le spallucce e dicendo: non c’ho capito niente! Niente! Non me lo chiedere perché non lo so. Ma mi sono sentita bollata come una malata di mente totale che non riesce a fare 2 conti come se avessi chissà che patrimonio da gestire, quando non ho ancora chiesto ancora l’invalidità. E io sarei la matta? Ma ti pare? Ma almeno parlami! Avvertimi prima, spiegati! No. È successo tutto così in fretta. Ero a Roma quando ho trovato a casa la convocazione del giudice. Io morta. E tu lo conosci, sai com’è fatto Francesco! Di poche parole, come al suo solito: Jolanda è una semplice procedura formale che si fa nei casi come il tuo. Ma lì, davanti al giudice a contrattare di mensilità da darmi, di gestione economica, di un conto nuovo. No e no. Farò ricorso. E io so anche chi è stato a consigliargli tutto questo. E Laura: e chi? Dimmelo! Jolanda: quel pazzo di Corsi, uno psichiatra amico di Francesco, un tipo stranissimo, sapessi… Poverino, non è nemmeno riuscito a salvare sua moglie che si è lanciata da un balcone… E Laura incalza: ma i tuoi non lo hanno fermato?Jolanda: e come? Francesco ha inoltrato la pratica con la documentazione ottenuta dal Csm per la domanda d’invalidità, dove vi è riportato che non solo sono affetta da disturbo bipolare ma che sono stata ospedalizzata per un mese nel lontano 1997, per fase depressiva. E Laura: vedrai, cara, che si aggiusterà tutto! Non ci devi pensare più e, soprattutto, mi devi promettere che non farai mai più colpi di testa del genere! E Jolanda: questo è sicuro! Ci stavo rimettendo le penne per quei due balordi, che nervi! Non puoi immaginare! Mi sono sentita annichilita…

Dopo che Laura lascia l’ospedale, Jolanda piomba in uno stato di profonda malinconia e così afferra il cellulare e si mette ad ascoltare le ballate di Chopin nell’attesa della cena. Si sdraia sul letto e comincia a pensare a Massimiliano, il suo amato fratello, perso in un incidente nel 1995. Ricorda la giornata della morte, di quando le venne annunciata per telefono da Francesco, che le disse: Jolanda Massimiliano è morto, si è schiantato con la moto contro un guardrail, prendi il treno e vieni a casa. Ricorda ancora quel viaggio passato ascoltando le variazioni sul tema di Handel di Johannes Brahms, a tutto volume, senza spendere una lacrima, ma ricorda ancora di più il gelo sentito in quel vagone. Arrivata a casa dei suoi trova suo padre steso sul divano e sua madre che l’abbraccia in lacrime con gli occhi svitriati. Massimiliano, ripeteva, è morto, è morto. E ora sente anche nostalgia di Francesco e si prefissa di chiamarlo il giorno seguente, sente la sua mancanza. Da quando Massimiliano è morto, tra Francesco e Jolanda si sono invertiti i ruoli, il loro rapporto ha subito una metamorfosi: Jolanda da primogenita si è sempre aggrappata a Francesco e confidata con lui, quasi fosse un padre per lei, la sua figura di riferimento. Lui l’aveva soccorsa durante il lutto di Massimiliano, e protetta e consolata durante il ricovero del ‘97. Lui l’aveva ascoltata e rincuorata quando si era lasciata col suo ex Thomas. Non riusciva proprio a capire quella sua mossa ora, di aver scelto di diventare suo amministratore di sostegno e di come gli era riuscita, visto che ancora non aveva cominciato le pratiche per la richiesta d’invalidità. Il giorno seguente viene a farle visita, come di consueto, il dott. Disdegno che le dice che ora sta meglio e che la fase che sta attraversando si chiama “Luna di miele con la terapia” e durerà per qualche giorno ancora. Signora, siano sulla giusta strada, abbiamo imboccato la terapia giusta per il suo stato. Lei è affetta da disturbo bipolare 1 e le stiamo facendo delle iniezioni di un antipsicotico, anche se lei non soffre di psicosi, che sono utili per la sua situazione. Il nome del farmaco è Abilify e queste iniezioni si fanno con una cadenza di una volta al mese, e poi le abbiamo cambiato lo stabilizzatore dell’umore e le abbiamo prescritto il Lamictal, perciò può stare tranquilla che se ne andrà presto da qui. Jolanda a sentire questo, si tranquillizza perché ciò che più le premeva era di sapere per quanto tempo durasse il ricovero, voleva riabbracciare i suoi e soprattutto suo fratello Francesco. Il dott. Disdegno è stato molto lapidario su quello che le era accaduto: signora quello che ha fatto è molto grave, lei ha tentato un suicidio e per un atto così grave non ci sono motivazioni che tengano. Avrebbe potuto reagire, consultarsi magari con un avvocato, e perché no, inoltrare una causa, ma mai e poi mai attentare alla sua vita. Non ce n’è motivo sufficiente e lei non è depressa, ha tentato il suicidio perché è implosa nella sua rabbia senza esplicitarla. Non ha avuto alcuna forma di reazione se non quella di farla finita, e le sembra plausibile? Ora deve riprendersi la sua vita, deve risollevarsi e fare sbollire la sua rabbia. Forse ha anche ragione, le modalità di suo fratello non sono state delle più chiare, ma questo non giustifica il suo comportamento paradossale, alle difficoltà non si risponde scappando o peggio ancora, punendo gli altri con una fine atroce, mi sono spiegato? Durante questi giorni di ricovero avrà modo di discuterne con gli psicologi che sono più specializzati di me a spiegarle cosa le è successo e a darle degli strumenti di lettura per l’accaduto, e soprattutto a farle comprendere la gravità di quello che ha fatto. Solo così, dopo aver maturato l’accaduto, potremo dimetterla. E così Jolanda scoppia in un pianto fragoroso fino ai singhiozzi, e incalza: mi sta dicendo, per caso, che ho fatto una cazzata? Sì, ho reagito nel peggiore dei modi, ho fatto una cazzata! Ma non può comprendere il mio terrore. Ero in preda a un terrore assurdo. E lui: signora lei ha fatto una cazzata, come l’ha chiamata lei, che le ha messo in forse la sua vita. Lei è stata in coma 5 giorni, mi spiego? Poteva morire. E questo perché? Se lo chieda. Vede, la sua patologia, da un punto di vista medico, non é così invalidante come i casi che si trovano qui, ma l’aver attentato alla sua vita è molto grave ed è molto più grave di qualsiasi malattia. Lei, per quello che chiama terrore ha risposto nella maniera più irrazionale possibile, che affonda in radici lontane della sua esistenza, e io non ho i mezzi per analizzare il perché lei abbia risposto così, con tale violenza ad un problema che si è posto nella sua esistenza. Se tutti noi reagissimo così alle prime difficoltà sarebbe un bel problema. Ma lei si rende conto di quanto male si è inflitta e ha inflitto ai suoi familiari? Se ne rende conto ora? Ripeto, non c’è nessuna ragione su questo mondo per arrivare ad attentare la propria vita, che è quello che lei ha fatto, ed ora dovrà maturare tutto questo. La sua situazione è gravissima e per fortuna che è sopravvissuta, non se lo scordi che poteva morire. E Jolanda, ma questo lo so, ed ho anche festeggiato per essere ancora viva, quasi non ci credo, ma ora come faccio? Il problema resta tutto da risolvere. E il dott. Disegno: signora, l’amministratore di sostegno è una figura di supporto, non un tutore, come mi pare che lei creda. Suo fratello non può farle niente, non può in alcun modo farle del male, la sua è anzi una figura di supporto. Nel suo specifico, nelle oscillazioni dell’umore si tende a dilapidare i patrimoni, a contrarre debiti, come le é successo, ed a questo serve tale figura: a supportarla nella gestione del suo patrimonio ma nel suo interesse perché è sorvegliato da un giudice che garantisce per lei, e che fa i suoi interessi. Se suo fratello si muovesse a suo discapito ne dovrebbe dare conto al giudice, e non è semplice. Mi creda, la figura dell’amministratore di sostegno la tutela da qualsiasi cosa perché vi è un giudice che fa i suoi interessi. Perché non si è informata? Ma perché questo terrore fino a credere che la sua vita fosse finita? Perché lei questo ha pensato, altrimenti non avrebbe attentato alla sua vita. La sua è una personalità molto sospettosa, sa? Cosa ha creduto, che la sua famiglia avesse imbastito un qualche complotto a suo danno? Lo vede com’è grave la sua condizione? Ha temuto il nulla. Ma non sta a me, ripeto, aiutarla in questo percorso, io le ho solo spiegato tecnicamente la figura di suo fratello che anzi, dovrebbe ringraziare, perché è una figura di una certa responsabilità ed un certo impegno. Jolanda continuava a piangere, sentiva come essere andata a sbattere contro un muro di granito, freddo e liscio, senza nessun appiglio, e si sente svuotata e sola. Ma come le é successo tutto questo? Si chiede. Perché ha reagito così? Continua. E chi è quest’uomo che le parla con questo tono sprezzante? Non ha capito niente, continua a ripetersi. Non ha capito un bel niente di quello che é successo. La sua famiglia l’ha tradita, anzi tutti l’hanno tradita e lei voleva solo giustizia. Ora la lascio con i suoi pensieri e il suo dolore, le dice il dott. Disdegno, del resto se ha bisogno di me ed ha bisogno di qualche altro chiarimento o delucidazione ci vedremo in questi giorni. Ora pensi a riposare e si distragga: legga, ascolti musica, scriva se vuole, anzi, le consiglio di prendere appunti su ciò che ci siamo detti così che faccia un po’ di chiarezza sulla sua condizione, e le auguro sinceramente che rifletta. A domani.

Ora Jolanda è in preda alla disperazione e continua a piangere. Anna, la sua compagna di stanza, le offre dell’acqua e dei fazzolettini per asciugare le lacrime e le dice di non fare così, che a tutto c’è un rimedio, una soluzione. Ma Jolanda è disperata e si corica e continua a piangere nel letto fino a che , stremata, non cade in un sonno profondo.

A svegliarla é il cellulare che squilla, è la madre che chiama. Jolanda, la madre, dall’altra parte, come stai? Non ti sei fatta sentire e non vuoi vederci. Tesoro come stai? E lei, mamma sto male. E la madre, e vuoi che veniamo a trovarti? Hai visto la biancheria e il cellulare? Te l’ho portato io l’altro giorno, c’è un oss molto gentile, sono venuta in ospedale con papà e ti abbiamo portato tutto. Come ti trovi lì in reparto? Mamma, male, voglio solo uscire da qui. E la madre: per ora devi rimanerci, così ci hanno detto i medici. Ma dimmi perché non ti trovi bene? Com’è il personale e come sono i medici? Qui tutto bene, diciamo, risponde Jolanda, ma me ne voglio andare via di qui. E la madre: perché non vuoi vederci? Sentiamo tanto la tua mancanza, c’è papà vicino a me che ti vuole salutare, ecco te lo passo. È papà che ti parla, gioiello del papà, come stai? Papà, potrei stare meglio e da qui voglio andare via. Ma certo che verrai dimessa, abbi un po’ di pazienza. Ma papà, sono passati già una decina di giorni ed io sono stanca, qui non si fa niente. E lui, quando possiamo venire a trovarti? E lei, se è per questo anche oggi. E dimmi come sta Francesco? E lui, Francesco è venuto a pranzare qui, con Roberta e i nipotini, e poi è tornato a lavoro. Ma perché non lo hai sentito? No pa’, ancora no. Anzi, lo chiamo ora e vedo se mi risponde. Allora, fa lui, a più tardi. Jolanda vuole chiedere a Francesco se si sono parlati o se lo ha incontrato in sogno, solo questo vuole domandare a suo fratello. Se l’ha perdonata per le cose che gli ha detto. Un forte senso di colpa infatti la assale, se lo ha incontrato, ricorda che gli ha vomitato tutta la sua rabbia addosso e questo non può perdonarselo. E così digita sul cellulare sul suo nome e Francesco le risponde, è un attimo intenso e imbarazzante per Jolanda, le trema la voce, e gli dice, ciao, Francesco, come stai? E lui, Jolandaaaa, ciaaaoo! Tutto bene, e tu come te la passi? E lei, non c’è male, grazie, ma dimmi, sei venuto in ospedale quando ero in medicina? E lui: sì, certo, sono venuto per un’oretta, hanno fatto entrare solo me. E Jolanda: e che ti ho detto? E lui, Jolanda, niente. Eri in coma vigile e non mi hai detto niente, eri sedata dai farmaci, perché? No, niente. Ero sicura di averti parlato. E lui, no no, tesoro, eri sedata, farfugliavi a malapena ma non riuscivi a parlare e poi ho chiesto perché ti avevano legata. E Jolanda: perché ero legata? E lui, sì, mi hanno detto che eri molto agitata e per non farti del male con le flebo, ti avevano legata per tenerti immobile, affinché non uscissero le flebo fuori vena. Mi hanno fatto entrare solo in quarta giornata, prima no. E Jolanda: ma sei sicuro che non ti abbia detto niente? Jolanda, ma come potevi? Sei stata in coma per 5 giorni e poi non ci hanno fatto entrare più, ora come ti senti? Jolanda, voglio uscire di qui. E lui, ma certo! Evviva! Ne usciremo vedrai. Sei forte, ce l’hai fatta, e mi manchi tanto! E Jolanda: anche tu mi manchi. Quando puoi venire a trovarmi? E lui: bèh , questo non te lo so dire. Devo vedere a lavoro. E Jolanda: mi chiami stasera e anche domani? E lui, ma certo, Jolanda! Allora a presto, dice lei. E lui, un abbraccio forte. A presto! Nel pomeriggio, alle 18, eccoli puntuali la madre e il padre di Jolanda emozionati. Permesso, fa il padre. Ma come, siete già qui? E certo amore del papà, è venuta anche la mamma, eccola. E Jolanda, eccovi, e abbraccia fortemente entrambi. Come state? Tu come stai?! Risponde la madre. E lei, vi presento Anna, la mia compagna di stanza. Anna, questi sono i miei genitori. E lei, piacere. Il padre, piacere nostro. Papà, dice Jolanda, sto meglio, molto meglio. Oggi ho parlato col primario, che fa la visita di reparto ogni giorno, che mi ha detto che mi hanno modificato la terapia e che ora devo stabilizzarsi e che presto uscirò. Bene, bene, risponde il padre. Papà, mamma, volete fare un giro del reparto? Venite, lasciamo Anna da sola, che aspetta sua sorella, noi possiamo andarcene nel refettorio. È dove passiamo tutta la giornata. È qui, venite. E Jolanda lì conduce nel refettorio attraversando una parte del lungo corridoio. Avete visto com’è bello qui? Che bella vista? E la madre, ma sì, si vede il porto e il mare, proprio bello. Ma dimmi, come si chiama il primario? È il dott. Disegno, mamma. È un tipo sulla sessantina d’anni bassino con gli occhiali e i capelli brizzolati. E la madre, porta la barba, come fanno gli psichiatri? E Jolanda, no, no, il dott. Disdegno è diverso, senza barba e da sotto il camice ho visto che veste sempre color terra: marrone, nocciola, verde, terra di Siena, non è molto colorato, direi sobrio, non ha molta fantasia! Scoppia a ridere la madre. E dimmi cosa vi fanno mangiare? E lei, la cucina non è male, certo il cibo è della mensa d’ospedale e poi, in fondo, ci sono delle macchinette per il caffè, il cappuccino, il tè e gli snacks. Papà, dimmi come stai? Fatti abbracciare ancora! Il mio vecchietto… dimmi. E il tuo papà regge bene, ora è cambiata la temperatura e fa freddino quindi su le mie quattro coperte e vai! È cambiata la temperatura? Fa Jolanda. E certo siamo a novembre, bella, cominciano i primi freddi e il tuo vecchio si è imbacuccato. A pa’, sei sempre lo stesso. Ma qui, coi riscaldamenti siamo a maniche corte, fa caldo! E poi non piove, quindi non mi sono resa conto del cambiamento di temperatura. La madre, ora dobbiamo andare, dimmi ti serve qualcosa, vuoi darmi qualcosa di sporco? Così ti faccio la lavatrice e te lo porto domani. Sì, mamma, grazie. Risponde Jolanda. Pa’, arrivederci, a domani, e lascia il cellulare acceso così ti chiamo se mi scoccio. E lui, quello di tua madre è sempre acceso, tu puoi chiamare quando vuoi, hai capito? Certo lo so, pa’. Allora a domani. E si abbracciano tutti e tre. E se ne vanno.

I giorni a venire trascorrono tutti uguali, tra visite di reparto e colloqui con gli psicologi. E poi il pranzo e la cena. Ora a Jolanda è sceso l’umore , è stata stabilizzata e si sente nell’acqua, come dice lei, come una sogliola nel mare. Ascolta musica e prende appunti su un quaderno che le ha portato la madre dove annota tutto quello che le dicono, e che al pomeriggio rilegge e modifica. Ripensa spesso al fratello Francesco e vuole rivederlo per parlargli e chiedergli di come gli è saltato in mente di chiedere di fare il suo amministratore di sostegno. Perché ancora non si capacità di ciò che le è accaduto, Jolanda è molto riflessiva e lenta nel digerire le cose, è fatta così, è una sua caratteristica. Si è sempre definita una lumaca, ha sposato la lentezza come modalità della sua vita. Mentre Francesco è più un uomo del fare, veloce, concreto, caparbio, tenace. Ha sposato da 12 anni Roberta, un medico, e ha due bambini. I suoi cari nipotini che ama come può. Con tutte le difficoltà e le ansie della sua condizione. Si chiamano Lucia, la primogenita, e Alberto, il secondo. Rispettivamente di 10 e di 4 anni. Lui lavora come avvocato civilista e guadagna molto bene. Infatti hanno una bella casa nel centro storico di Napoli. Il padre e la madre, invece, abitano al Vomero, e sono entrambi pensionati. Francesco conduce una vita molto frenetica ma le è stato molto vicino durante il periodo della pandemia, quando Jolanda ha cominciato a cedere. Da lì il suo malessere. La pandemia ha colpito tutti ma le persone fragili come Jolanda ne hanno risentito di più. Questo le avevano detto gli psicologi, che la pandemia aveva avuto un ruolo principale nel malessere di Jolanda, nel suo terrore. Lei era già terrorizzata e la situazione del fratello è stata solo una miccia che ha fatto esplodere tutto ciò che era già compromesso. Motivo di disagio e forte scontro in famiglia era stato il vaccino, perché Jolanda era l’unica che non voleva vaccinarsi, mentre il padre medico e Francesco erano favorevoli e la hanno costretta a vaccinarsi. Lei ora viveva nel terrore che le potesse succedere qualcosa e che qualcosa potesse succedere ai suoi cari. Questa presa di posizione netta l’aveva destabilizzata. Lei non avrebbe voluto ma al momento opportuno l’aveva accompagnata Francesco a vaccinarsi e lei non glielo aveva perdonato. Poi è arrivata la notizia del grosso debito col condominio contratto da Jolanda. Aveva accumulato nel giro di 3 anni 20.000 euro. Francesco quando l’aveva saputo le aveva chiesto come era stato possibile. Era lui un avvocato civilista e si rendeva conto di quello a cui stava andando incontro la sorella. Come aveva speso i suoi soldi Jolanda? Come era possibile che non aveva fatto caso all’ammontare della cifra? Francesco era molto preoccupato e così si informa presso un suo collega che fa pratiche d’invalidità e da un suo amico psichiatra dei disturbi di sua sorella. E scopre leggendo un libro, Toccato dal fuoco, dei problemi economici a cui sono esposti colori che sono affetti da sindrome bipolare e comincia a maturare l’idea che deve fare qualcosa per aiutare la sorella. Nel libro vengono tratteggiati i caratteri specifici del disturbo legati a coloro che soffrono della sindrome affettiva bipolare con tanto di problematiche legate alla fase depressiva che a quella maniacale con tutta una documentazione relativa ai disturbi legati alla gestione dei propri averi. Francesco resta molto turbato dalla lettura e chiede consiglio al suo amico psichiatra Corsi, che gli fornisce delucidazioni sulle queste difficoltà. Siccome Francesco aveva sollecitato Jolanda a fare la domanda d’invalidità, lei aveva preso tutta la documentazione al Csm del Policlinico di Napoli, che in un mese gli avevano prodotto tutte le certificazioni richieste. Così Jolanda aveva dato tutto il materiale a Francesco che però aveva temporeggiato a causa dei suoi impegni. Ora Francesco si sente sicuro per avviare la pratica ma Jolanda a volte mostra dei ripensamenti. Dopo i vari colloqui con Corsi, Francesco alla luce della disperata condizione economica della sorella, fa domanda al tribunale per diventare suo amministratore di sostegno.

Il giorno dell’udienza si presenta col suo collega, e questo suscita sgomento in Jolanda. Lei è accompagnata dai suoi. Col giudice di pace stabiliscono l’ammontare della somma di 800 euro mensili da destinare a Jolanda e l’apertura di un nuovo conto corrente dove saranno versati i soldi. Jolanda non parla, rimane basita. Lei guadagna 1500 euro al mese e non si capacita di questa decurtazione ma non chiede delucidazioni a riguardo, rimane ammutolita. Tutto si svolge in fretta e senza inceppa e il giudice le stringe la mano e le dice che per qualsiasi cosa è a sua disposizione. Ritornati a casa Jolanda comincia a dare segni di insofferenza, è taciturno ma risponde male ai suoi. Decide di andare a casa sua. Anche lei abita al Vomero, a 500 metri da casa dei suoi, in via Adolfo Omodeo, alle spalle dell’uscita della tangenziale di via Cilea. È in questi due giorni che in Jolanda comincia a crescere un forte senso d’impotenza e di sconforto: non potrà più gestire i suoi averi, dove andranno le sue 700 euro al mese? E perché? Jolanda comincia a pensare di farla finita. Va dai suoi e finge di cercare di gettarsi dal sesto piano, e così i genitori chiamano Francesco che si catapulta a casa preoccupato. Parla con Jolanda e le dice che se non si sente bene è disposto ad accompagnarla al Csm per parlare con qualcuno ma Jolanda a quel punto prende a urlare e afferra un coltello con cui si ferisce un polso. A questo punto Francesco l’abbraccia e cerca di farla calmare e rimane tutto il pomeriggio con la sorella, annullando tutti gli impegni allo studio, si dà malato. Jolanda vicino a Francesco si sente protetta ma adesso sente anche una rabbia contro di lui e contro il padre e decide di tornarsene a casa.

Oramai è trascorsa un’altra decina di giorni dal giorno del grande colloquio con Disdegno e da allora Jolanda ha cominciato a comprendere tutto quanto era successo. Si sentivano con Francesco ma lui ancora non era venuta a trovarla. Il fratello tramite i suoi le manda il libro Toccato dal fuoco, che Jolanda legge avidamente e comincia a riflettere sulla sua condizione. Trova in questo libro parallelismi con i personaggi che vengono ritratti. È un libro che vuole spiegare attraverso le neuroscienze e documentazione psichiatrica i nessi fra arte e follia e nel caso specifico fra arte e psicosi depressivo maniacale, come si chiamava un tempo, di vari personaggi del passato e la loro vita. Jolanda è una creativa, è una musicista, di 48 anni, e in questo libro si ritrova così comprende finalmente la sua condizione e perdona il fratello adorato Francesco. Ha dilapidato il suo patrimonio in libri, CD, vestiti costosi e viaggi e ora si rende conto della sua grave situazione economica e che con l'aiuto del fratello ne verranno a capo, non può essere diversamente, Francesco l’aiuterà a risolvere il suo debito con il condominio. Lei come lavoro fa l’insegnante di pianoforte presso un liceo musicale di Napoli e guadagna intorno ai 1600 euro al mese. Con la parte che il fratello si prenderà riuscirà piano piano a estinguere il suo debito. Faranno un conto a parte dove Francesco farà confluire i suoi soldi e farà cassa comune. Ora le è tutto chiaro.

Qualche giorno prima delle dimissioni eccolo che arriva trafelato alle 13 e 15. Enorme lo stupore di Jolanda nel vederlo. Le fa, sorellina finalmente ci siamo, ho parlato coi medici e mi hanno detto che fra un paio di giorni ti dimetteranno e che dovrai ritornare al Csm dove questa volta ti seguirà il dott. Disdegno in persona, perché lavora anche lì. E Jolanda, sì lo so, lo conoscevo di vista. Mi abbracci? Certo sorice’, le fa teneramente Francesco. Ora è tutto finito.

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