Battista Trapuzzano è nato in provincia di Catanzaro nel 1950 e ha pubblicato, nel 1985, il libro di poesia Giorni d’indizi (Rubbettino). «Ho svolto molti lavori, conducendo da sempre una vita marginale e discosta». Le poesie in prosa che proponiamo provengono da una raccolta ancora inedita, un viaggio tra «continenti» e personaggi colti nei loro caratteri essenziali, con delicatezza e insieme con distacco.
Antonio Paola fu il grillo saltimbanco della brughiera; una sorta di ballerino di storie raccontate fra un pensiero ed il loro ritmo.
Un grido, un grido forte avrebbe portato la sua voce oltre le umane insistenze. Ma sapeva solo dire cose silenziose, appena percettibili. Dicono che nessuno seppe più pronunciare così piano il silenzio. Nel silenzio ognuno rievoca la moltitudine e rinuncia a se stesso.
Lui leggeva in quel silenzio un dolore impercettibile ma anche una meraviglia segreta che mai avrebbe rivelato senza prima chiedersi da che parte, da quale luogo, da quale prigionia dorata arrivasse quel silenzio tiepido come un desiderio lasciato nel passato.
Per anni raccontò storie ai ragazzini che lo accerchiavano. Una di quelle storie se la raccontò da solo; di quella storia rimangono ancora figure di lievito e di pane raffermo in giro per il paese.
Nessuno dei suoi personaggi imparò ad essere diverso da tutti gli altri. Io ancora vivo della loro luce sommessa quando di notte mi risveglio con la paura di non riaddormentarmi più nei miei stessi sogni.
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2
Mi torna in mente il vuoto che ti riflette ancora nelle mie cose ma niente sarà com’era prima di incontrarti. Il minimo tempo, lo spazio di una nuvola e poi noi due ritorneremo quello che eravamo: piccoli desideri che la vita appena confonde coi suoi vizi. Tornerai forse a mettere legna sulla fiamma che arde a fuoco lento. Raccoglierai la cenere di ciò che consumammo o un gesto, come la tua mano, che mi saluta da lontano ora che non trovo fra la gente chi più ti rassomiglia.
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7
La sua bottega di sarto era rimasta l’unica verità da sfuggire. Da sessanta anni andava e veniva, puntuale, senza indugi. Casa e bottega. Spazio e distanza. Un’unica soluzione. Non mutava nulla. Stessa strada, forse stesso pensiero in soccorso dei suoi passi ripetuti. L’abitudine dilata il tempo. Lo fa lungo, lo fa indugiare. Fuori la pigrizia invade la riflessione con la stessa velocità delle mutazioni inutili.
La sua vita era il suo percorso. Non conosceva altra imitazione per illudere la sua distanza, per farsela sentire meno discosta dalla pervicacia consuetudine alla ripetizione dei giorni, degli anni. Una verità dell’abitudine per ritrovarsi sempre da solo nel destino di un altro.
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37
Giovannina è una stanza chiusa. Gli occhi scivolati nel fondo del bicchiere. Un androne buio senza scale. Lei che sempre aveva portato legna e cenere al fuoco dell’inverno ora è nuda. Salsedine sulle spalle, oro di lavanda sulle labbra. Lei che non aveva mai sprecato un solo viaggio. Aveva aspettato l’alba dietro la porta. Annaffiato il giardino con la stessa acqua che tutte le mattine le bagnava il petto. Di notte aveva ascoltato la luna crescere. Di giorno l’avevano sfiorata solo i venti dell’abbandono. Ora riposa sull’effimero buio, sui nomi delle tante cose che la confondono. Giovannina chiama l’argento e desidera l’oro. Guarda altrove mentre ti chiede l’ora del giorno prima. Ripete sempre le stesse storie negli occhi di chi incontra. Non sa più ritornare su i suoi passi. Mangia sul dorso delle mani molliche cadute dal cielo. Ricama senza filo rose sul cuscino. Al sole di marzo ti carezza le mani se le parli. Non ha più un nome per ritornare da sola dalla piazza. Uno di questi giorni, in una casa di vecchi, i figli le chiuderanno il conto con quella vita divagata. In una casa dalle finestre basse in una città anonima Giovannina ritornerà finalmente grano da seminare, pane caldo e lievito segreto della terra.
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