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Laboratorio inediti / Tre prose di Iacopo Pesenti

Immagine del redattore: RedazioneRedazione


Iacopo Pesenti (Milano 1990), pittore giovane ma con una consolidata traiettoria, già incluso nell’antologia Planetaria (Taut Editori 2020), sta preparando la sua raccolta d’esordio. Dal 2018 collabora con il pittore Mario Raciti, inizialmente come assistente personale e poi prendendo parte alla costituzione dell’Archivio Mario Raciti come membro del Comitato Scientifico. Ha curato l’antologia Il fare scoperto. Scritti e testimonianze (Taut Editori 2023).

Tra le mostre e gli eventi a cui ha preso parte si segnalano: Premio San Fedele 2023-2024 (residenza e mostra, Galleria San Fedele Milano); Così vicino, così lontano (Atelier Cartesio, Milano 2023); Visitazioni (Scoglio di Quarto, Milano 2022); Anticamera (bipersonale con Jonathan Colombo, Galleria Arrivada, Milano 2021); Jam Session (bipersonale con Jaco Caputo, Galleria Fiber Art And, Milano 2021); Premio Esponi-MI (collettiva dei finalisti, Rotary Club Rho Centenario e Renzo Cortina, Milano 2021); Enigma (Dimora Artica, Milano 2019); Sono Appena Morto (tripersonale con Jaco Caputo e Luisa Turuani, Renzo Cortina, Milano 2019); Reazione a Catena 2 (collettiva, Galleria Bonelli, Milano 2018); Forum Internazionale delle Culture (collettiva a cura dell’Accademia di Belle Arti di Roma, Forum Internazionale delle Culture, Sanpietroburgo 2018); Doppio Sogno (bipersonale con Jaco Caputo, Atelier Cartesio, Milano 2018); Iperuranio (Macao, Milano 2018); Appunti, abbagli, appigli e bisbigli (collettiva, Atelier Cartesio, Milano 2015); Sfase (residenza e mostra, Ex Cartiere Paolo Pigna, Alzano Lombardo 2015); TRAUM (tripersonale con Donatella De Rosa e Andrea Fiorino, Circuiti Dinamici, Milano 2013).

L’immagine è un disegno a carboncino e grafite dell’autore intitolato Previsioni del tempo.



LA CATTEDRALE


La Cattedrale del Duomo di Milano. Pietra angolare della città, simbolo del suo glorioso passato e, oggi, anche del timore, della negazione del suo evidente declino. Fa pensare a ciò che resta di un’antica nobildonna che alla sua veneranda età si ritrova insidiata da pretendenti di ogni ceto, disposti a tutto pur di approfittare del suo prestigio e della sua ricchezza, mentre un’equipe di specialisti e inservienti non le dà tregua dal suo restauro perpetuo – senza quelle impalcature, manterrebbe l’equilibrio? Ha mai desiderato di crollare?

La Cattedrale ha perduto la fede, plagiata dall’industria del turismo che la vuole docile e a bocca aperta. Sta scritto nei Vangeli che il Cristo si adirò contro i mercanti e li cacciò dalla casa del dio suo padre. Oggi, ad ogni anfratto del tempio – dove i mercanti sono di casa – corrisponde una voce nel tariffario. A volte è difficile distinguere i fedeli che (per caparbietà o ingenuità?) persistono nel loro raccoglimento, fra la moltitudine dei curiosi – pagando il biglietto, i turisti sono dispensati dal dover simulare devozione, e come bestie al pascolo possono occupare lo spazio, senza chiedersi perché.


*


REPETITA JUVANT


Lavoravo come guardasala presso il Palazzo Reale di Milano tra il 2017 e il 2018, nel periodo della grande mostra dedicata a Caravaggio. Le code sconfinavano fino in piazza del Duomo, esasperando con attese interminabili il pubblico di tutte le età che doveva sopportare in piedi il freddo invernale, talvolta inasprito da pioggia o neve. Nonostante questo, le visite giornaliere superavano facilmente il migliaio: ricordo che nel corso di una sola giornata varie persone persero i sensi a causa del sovraffollamento delle sale, mentre alcuni colleghi si ritrovarono a dover gestire un principio di tafferuglio ai tornelli d’accesso del pianterreno. Ricordo inoltre che, dopo ogni chiusura, all’interno delle sale finalmente vuote si respirava un’aria appesantita da un odore acre, come di stalla.

Ogni mattina, prendendo postazione tra le sale, ritrovavo gli stessi dipinti. Il logorio di quei turni sempre uguali, movimentati solo dalle complicanze e dai disagi di un ambiente di lavoro gretto e viziato, mi distraeva costantemente da quei dipinti che potevo concedermi di osservare solo per brevi istanti. Non ricordo nulla dei testi di cui le pareti erano tappezzate, nulla dei pannelli introduttivi e delle didascalie, e nemmeno una data. Ma una prima cognizione del Caravaggio si delineava silenziosamente in me, e col passare del tempo mi sembrava di comprendere la forza e la sapienza, la modernità, l’importanza della sua pittura. Passai più di quattro mesi nel semibuio di quelle sale, riguardando di continuo le stesse tele. Dopo tutte quelle volte, restano indelebilmente impressi nel mio sguardo il livido fiore sul capo del Ragazzo morso dal ramarro, l’ala piumata dell’angelo ne Il sacrificio di Isacco, la scarna drammaticità del San Francesco in meditazione.

Ora, dopo qualche anno, ripenso al tempo e al ritmo frammentato di quella strana esperienza, e posso tranquillamente dirmi di aver compreso che, come nel modo in cui chi desidera comprendere un’opera d’arte deve necessariamente passare per un certo tempo e luogo di contemplazione, senza compromessi o abbreviazioni di comodo, anche il pittore stesso – che fra un gesto e l’altro si ritira nel suo sguardo – deve arrendersi al corpo fisico della pittura, alle innaturali posture dei suoi spazi e dei suoi tempi, per poter cogliere un segno di vita.

Nella prospettiva di questo parallelo tra osservatore e artista, il nostro rapporto con l’arte – di qualunque natura essa sia – potrebbe non essere così diverso da quello che abbiamo fra noi: quando uno sguardo improvviso rivela, e una parola di troppo ci confonde; quando tentiamo di indovinare cosa pensa, cosa significa l’altro; quando viviamo il timore e l’eccitazione di percepire il suo corpo, così vicino eppure così lontano dal nostro; quando ci si sentiamo improvvisamente messi nudo dalla sua presenza, quando si manifesta quel senso di smarrimento, di esclusione e lontananza se di quel corpo non ci resta che il ricordo.

Dopo aver pensato questo, i tempi e i luoghi di una vita non possono più bastare. Per questo tentiamo di lasciare un segno: per sopravvivere a noi stessi, per protenderci e per tramandarci, come un richiamo per un altro sguardo, per un altro pensiero, per un'altra vita.

Comprendo ora il senso di quel motto tanto caro a mio padre, appassionato suonatore: repetita juvant.


*


AL RISVEGLIO


Mi capitava spesso, anni fa, di restare a dipingere fino a notte inoltrata, nel semibuio dell’ampia cantina della casa in cui vivevo con mia sorella e mio padre. Quando non ne potevo più risalivo con il dipinto ancora fresco e appena prima di stendermi lo lasciavo bene in vista accanto al letto, così che alla luce del mattino seguente la sua immagine sarebbe stata la prima cosa che avrei visto. Ripetendo questo gesto ho notato che l’immagine mi appariva ogni volta stranamente diversa, come se durante il mio sonno il quadro avesse avuto il tempo di decantare – mi fa pensare a come, quando smette di piovere, gli specchi intorbiditi delle pozzanghere tornano a equilibrarsi nelle loro sostanze, a come il pulviscolo si posa sul fondo, separandosi lentamente dall’acqua. In quei momenti la mia vista si risvegliava attraverso il quadro, e mi sembrava di non aver mai lavorato io ad alcun dipinto, di vedere l’immagine per la prima volta, come se il quadro si fosse aperto, misteriosamente alleggerito dai vincoli della materia.


Ultimamente dipingo meno, e vado a letto presto, ma conservo l’abitudine di tenermi vicino certi quadri per dargli un’ultima occhiata mentre mi addormento, per poi ripercorrerli al mio risveglio come una sorta di anticamera. Questo è il mio modo preferito di stare insieme a loro. Forse solo in quei momenti di intimità riesco a coglierne il senso vero e proprio, e a capire se il lavoro sia concluso o debba essere ripreso, cancellato, distrutto.


 

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