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Poesia statunitense / Frank O’Hara


Frank O’Hara (Baltimora 1926 - Fire Island 1966) è stato il poeta americano più sensibile all’arte. Dopo gli studi ad Harvard, negli anni Sessanta è stato curatore al MoMA di New York, autore di scritti critici e cataloghi imprescindibili come quelli dedicati a Jackson Pollock e Larry Rivers. Ha composto diversi atti unici teatrali, tra i quali Try! Try! (1960), su un soldato che torna dalla guerra e trova la moglie con il nuovo amante.

La sua poesia, originale e consapevole, è una trama di citazioni e annotazioni e la scrittura è libera di attingere al materiale più conveniente. La prima raccolta pubblicata è stata A City Winter and Other Poems (1952), mentre tra i libri più noti figurano certamente Meditations in an Emergency (1957), i Lunch Poems (1964) e The Collected Poems (1971). Proponiamo due testi-manifesto pubblicati nel ‘95 da Guanda per i Quaderni della Fenice e riproposti in nuova traduzione negli Oscar Mondadori, ormai comunque fuori catalogo.



PERSONISMO: UN MANIFESTO



È tutto nelle poesie, ma a costo di fare il verso al povero riccone di Allen Ginsberg ti manderò due righe perché mi hanno appena detto che un poeta mio collega pensa che una di quelle mie poesie che non si capiscono alla prima lettura è perché sono confuso anch’io. Ma andiamo. Non credo in dio e perciò non mi sento obbligato a mettere insieme strutture che suonano elaborate. Vachel Lindsay lo odio, l’ho sempre odiato; e non mi vanno a genio neppure il ritmo, l’assonanza e tutta quella roba lì. Si va a nervi. Se qualcuno t’insegue per strada con un coltello in mano corri, non è che ti volti e gridi «Molla, non illuderti! Al liceo ero campione dei cento.»

Il momento della scrittura delle poesie è tutto qui. Sul come vengono recepite, vediamo: supponiamo d’essere innamorati e che qualcuno ti tratti male (mal aimé) non dici mica «Oh guarda che non ho nessuna voglia di farmi trattar male, io ti amo!» ma lasci che i corpi vadano a cadere dove vogliono, dopo tutto succede sempre così dopo qualche mese. Per cominciare non è questo il motivo per cui ci s’innamora, solo per attaccarsi alla vita, invece bisogna rischiare e cercar d’evitare d’esser logici. Il dolore non fa che produrre logica, e la cosa ti fa male, molto male.

Non voglio dire di non avere un’opinione altissima di tutti quelli che scrivono oggi ma che differenza fa? Non sono che opinioni. L’unico vantaggio che me ne viene è che quando raggiungo il punto giusto d’esaltazione in quell’istante ho smesso di pensare ed è lì che arriva l’aria buona.

Ma come si fa a preoccuparsi se qualcuno le capisce, o ne coglie il senso, o se li rendono migliori. Li rendono migliori per cosa? per la morte? perché portarli alla tomba troppo in fretta? Troppi poeti s’atteggiano a mamme di mezz’età che tentano di far ingozzare ai figli troppa carne (cotta) e patate col sughino (lacrime). Me ne fotto io se mangiano o no. Conseguenza dell’ingozzata selvaggia è la magrezza eccessiva (esausta). Non c’è nessuno che dovrebbe sperimentare cose di cui non ha bisogno, se non ha bisogno di poesia buon prò gli faccia. A me piacciono anche i film. E dopo tutto solo Whitman e Crane e Williams, tra i poeti americani, sono meglio dei films. Per la prosodia e le altre tecnicalità basterà affidarsi al buon senso: se ti compri un paio di pantaloni li vorrai tanto attillati da far venire voglia a tutti di venire a letto con te. Niente di metafisico in roba del genere. A meno che, ovviamente, ci si faccia sedurre dal pensiero che quel che senti sia lo «struggimento».

L’astrazione in poesia, di cui si è occupato recentemente Allen (Gisberg) su It is, è qualcosa su cui riflettere. Credo che la si noti soprattutto nei dettagli minuti in cui è necessario esser decisi. L’astrazione (in poesia non in pittura) implica un distacco personale da parte del poeta. Esempio: la decisione insita nella scelta tra «la nostalgia dell’infinito» e «la nostalgia per l’infinito» definisce un certo atteggiamento per un diverso grado d’astrazione. La nostalgia dell’infinito rappresenta infatti un maggior grado d’astrazione, di distacco e di capacità negativa (come in Keats e in Mallarmé). Il Personismo, un movimento che ho fondato di recente e che nessuno conosce, m’interessa assai perché è l’opposto di questo tipo di distacco astratto che per la prima volta, proprio così, nella storia della poesia sta per trasformarsi in astrazione autentica. Il Personismo sta a Wallace Stevens come la poésie pure sta a Béranger. Il Personismo non ha niente a che spartire con la filosofia, è tutto arte. Non ha niente a che vedere con la personalità o con l’intimità, anzi! Ma per darvene una vaga idea, dirò che uno dei suoi aspetti meno appariscenti è quello di rivolgersi ad una persona sola (a parte il poeta) evocando così sottintesi amorosi senza però distruggere la vitalità volgare dell’amore e puntellando i sentimenti del poeta nei confronti della sua stessa poesia, impedendo però all’amore di distrarlo coi suoi sentimenti per la persona amata. Tutto ciò fa parte del Personismo. L’ho fondato io dopo aver pranzato con Le Roi Jones il 27 agosto 1959, un giorno in cui ero innamorato di un tizio (non di Roi, per inciso, di un biondo). Sono tornato in ufficio e ho scritto una poesia per questo tale. Mentre la scrivevo mi sono accorto che se avessi voluto avrei potuto telefonargli invece di scrivere la poesia: fu così che nacque il Personismo. È un movimento estremamente stimolante e che certamente verrà sottoscritto da molti. Il Personismo s’immette esattamente il poeta e la persona, tipo amore a tre, e la poesia ne viene perciò gratificata. Finalmente il poeta viene a trovarsi tra due persone invece che tra due pagine. In tutta modestia confesso che questa potrebbe essere la fine della letteratura che conosciamo noi. Anche se la cosa mi spiace un po’, sono però contento di esserci arrivato prima di Alain Rebbe-Grillet. La poesia ha il vantaggio di essere più rapida e sicura della prosa ed è per questo che la poesia fa fuori la prosa. Per un po’ si è pensato che sarebbe stato Artaud a realizzare qualcosa del genere ma in effetti i suoi scritti polemici, anche se splendidi, sono qualcosa di distante dallo stato di New York. La relazione in cui sta con la letteratura non è più sorprendente di quella di Dubuffet con la pittura.

Cosa ci possiamo aspettare dal Personismo? (Stiamo andando bene, no?) Tutto, ma non l’avremo mai. È un movimento troppo nuovo, troppo vitale per promettere qualcosa. Ma, come l’Africa, è in cammino. I recenti propagandisti della tecnica da un lato e del contenuto dall’altro, faranno bene a stare attenti.

F.O.H.


*


POESIA



Luce chiarezza insalata d’avocado la mattina

dopo tutte quelle cose tremende che faccio com’è incredibile

trovare giustificazioni e amore, non parliamo di giustificazioni

perché quel che è fatto è fatto e giustificazioni non sono amore

e amore è amore, niente può andar male

anche se le cose possono diventare irritanti noiose e inutili

(nell’immaginazione) ma mai veramente per amore

anche se a un isolato di distanza ti senti lontano la semplice presenza

cambia tutto come un reagente chimico lasciato cadere su un foglio

e ogni pensiero scompare in una strana calma eccitazione

è questa la mia unica certezza, intensificata dal respiro



(da Poesie, a cura di C. A. Corsi)

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