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Vivian Lamarque, Madre d'inverno e un inedito


Per Madre d’inverno (Mondadori 2016), il magistrale, ultimo libro di Vivian Lamarque, si parla da tempo, dopo il successo (insolito per un libro di poesia ma non per questa autrice), di una ristampa accresciuta. Lamarque è una scrittrice che non ha bisogno di presentazioni, il suo pubblico è vasto, eterogeneo. Da più di trent’anni - dall’esordio con la raccolta Teresino (Guanda 1981, Premio Viareggio), passando per Questa quieta polvere (Paragone 1987) e Poesie dando del Lei (Garzanti 1989) – la poetessa indaga i temi dell’identità e del sentimento nascondendo il dolore dietro l’aspetto giocoso di una stesura musicale, popolata da animaletti e bambini. Il retrogusto gotico innerva però i testi di humour, aprendo improvvisamente abissi di significato.

Vittorio Sereni parlava per lei di «intelligenza del cuore»: «quella in cui tanto fidava un Alain Fournier e che tanto lo distingueva, nella Lamarque è fonte continua di analogie, tramite fulmineo tra il cuore, il pensiero, la memoria, tra il grande e l’impercettibile: a questa forza analogica in lei chiaramente nativa, si debbono le sue arguzie, le sue allusioni, i repentini rovesciamenti di fronte, per cui a volte due versi a chiusura di una cantilena quanto mai puerile arrivano imprevisti come una coltellata». Ha pubblicato anche diversi libri di fiabe, ottenendo il Premio Cetona (2018), il Premio Rodari (1997) e il Premio Andersen (2000). Ha tradotto Valéry, Baudelaire, La Fontaine, Céline e Wilde. È una firma storica del «Corriere della Sera».

Una freschezza di pronuncia che si rinnova continuamente, come nella poesia pubblicata recentemente in rivista, I nomi degli amanti, la cui stilistica solidamente strutturata permette lo slittamento semantico e contribuisce alla frontalità universale del testo: «Chiedo perdono all’Olmo / quando lo chiamo Faggio... alle conifere tutte chiedo / scusa e perdono chiedo ai fidanzati. / Tutti dimenticati? / No, i loro nomi ho ancora dentro bene / incisi, ma come per nebbia / confondo un poco rami e mani, colore / delle foglie e dei capelli... presto saremo boschi / tutti quanti insieme? avremo cuori / d’erba? di radici? (...) da una vita / passeremo a un’altra dove? come? / privi dell’azzurro della neve? / privi dell’amore nelle vene?».

Ai nostri lettori proponiamo un inedito ferroviario, che decolla già al primo verso, insieme alla correzione autografa di un testo incluso nell’ultimo libro.

Alberto Pellegatta




QUANDO DAL TRENO DI SERA (inedito)


Quando dal treno di sera vedi passare una casa

con tante finestre tutte in fila accese

o è un distratto o una beata famiglia

numerosa, forse uno in una stanza scrive

in un’altra accanto forse si cucina

luccica nel bagno la bianca porcellana

mentre di là occhieggia la tv azzurrina.

E le camere del sonno? Loro al buio attendono

che una a una tutte si spengano le altre

che il treno che sta passando passi

sia passato, che la sera ritorni silenziosa.


*


CAMBIARE IL MONDO


a Orfano, di G. Pascoli


Invece sì, invece forse sì, forse la poesia forse lo cambierà un poco il mondo. Però tra tanto tanto di quel tempo sì me lo sento che forse dalla poesia forse verrà un poco forse di cambiamento. Ma come un nevicare lento lento lento.

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